Cinecittà Luce: rilancio non sopravvivenza

Quello che sta accadendo a Cinecittà Luce ha dell’incredibile, specie se si considera ciò che è stato fatto (sarebbe più esatto dire malfatto) nell’ultimo decennio nel gruppo cinematografico pubblico, sia sotto l’aspetto politico, sia sotto quello gestionale. All’inizio, quando c’erano più che sufficienti risorse finanziarie, vennero sprecati moltissimi soldi per acquistare un circuito di multisale che, non solo non era funzionale alle finalità istituzionali del gruppo stesso, ma che ha anche comportato perdite economiche ingenti. Più o meno contemporaneamente, veniva creata una nuova società, Cinefund, che veniva chiusa in breve tempo, però dopo che erano stati spesi molti soldi solo per progettarne l’attività (cronaca recente: la Corte dei Conte ha chiesto agli amministratori di allora il risarcimento del danno economico arrecato allo Stato). Sempre nello stesso periodo si verificava un patologico aumento dei costi fissi, dovuto principalmente alle numerose assunzioni (rispondenti più a motivazioni clientelari che a effettive ragioni di funzionamento) e alle numerose consulenze esterne, caratterizzate anch’esse allo stesso modo. In questi ultimi tre/quattro anni, dopo che le passività di bilancio si erano accumulate in misura preoccupante e le disponibilità finanziarie (ovvero: le sovvenzioni ministeriali) cominciavano a ridursi, si è finalmente cominciato a prendere la strada del risanamento: il suddetto circuito veniva venduto; veniva creata un’unica società (appunto Cinecittà Luce che ha inglobato Cinecittà Holding e l’Istituto Luce) al fine di rendere più snella, più coordinata e più economica la gestione delle molteplici attività del cinema pubblico; venivano ridimensionate le spese generali, specie quelle destinate al personale interno ed esterno, per cercare di riequilibrare il rapporto tra costi fissi, ancora alti, e costi per attività, conseguentemente sempre più ridotti. In questa fase di passaggio tanto delicata arriva come una mannaia il taglio, quasi un dimezzamento, della sovvenzione ministeriale, che riporta il cinema pubblico in piena crisi, aggravando ulteriormente e pesantemente lo squilibrio tra i costi fissi e i costi per le attività (che, se persistesse l’attuale situazione economica, verrebbero ridotte a poco più di zero), facendo persino temere il rischio del fallimento. Ora tutti – inclusi  i rappresentanti della maggioranza governativa e del governo stesso, e questo, diciamocelo, è quanto meno abbastanza ridicolo: non potevano pensarci prima? – tutti, con in prima fila il mondo del cinema, gridano giustamente allo scandalo e richiedono provvedimenti urgenti e adeguati. Naturalmente anche il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani partecipa al coro di proteste. Con una piccola aggiunta. Arrivati a questo punto, riteniamo che non si tratti soltanto di salvare il salvabile consentendo al cinema pubblico la mera sopravvivenza, per salvare in tal modo i posti di lavoro. A nostro avviso, invece, si dovrebbe, se si vuole operare seriamente a livello politico, ridefinire e, insieme, rilanciare il ruolo di Cinecittà Luce nell’ambito del cinema (e dell’audiovisivo) italiano, ribadendone le finalità socio-culturali, riconoscendone concretamente le potenzialità operative in più direzioni, consentendole di agire come un importante volano a favore dell’intero settore, dotandolo delle risorse necessarie per svolgere al meglio i suoi compiti istituzionali, come in un passato neppure tanto lontano era riuscita a fare. Insomma, e come sempre, si tratta di volontà politica. E se i politici ne hanno poca, facciamo tutto il possibile per fargliela venire.


di Bruno Torri
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