Cannes 2016, tra delusioni e un gioiello
A salvare almeno in parte l’edizione 2016 ci ha pensato un gruppo di Autori con i fiocchi capitanati dal canuto Ken Loach, il cavaliere inglese dell’impegno civile, e Maren Ade, la vincitrice morale di Cannes 2016.
Non è stata una bella edizione quella di Cannes 2016. Troppe delusioni. Delude lo spagnolo Pedro Almodovar (Julieta), delude (ma viene stranamente insignito del Premio della Giuria) lo sbarazzino American Honey della britannica Andrea Arnold, delude il supermanieristico danese Winding Refn (The neon demon), delude The last face di Sean Penn (che però ha almeno il merito di denunciare i massacri in Africa). Deludono tre dei quattro francesi in concorso, in particolare Olivier Assayas (l’evanescente Personal shopper ottiene però un premio). E ha in parte deluso anche l’attesissimo Juste la fin du monde firmato dal golden boy Xavier Dolan canadese del Quebec; questo abile adattamento più gridato che inventivo di una “pièce” teatrale francese meritava davvero il Grand Prix? Come si vede, i francesi maestri di diplomazia erano presenti anche quest’anno in svariate coproduzioni internazionali, che finiscono a Cannes: vedi anni fa il caso Amour di Haneke, palma d’oro, quest’anno è accaduto con Elle, produzione francese, diretto dall’olandese volante Paul Verhoeven (Basic Instinct), un ritorno peraltro assai felice.
A salvare almeno in parte l’edizione 2016 ci ha pensato un gruppo di Autori con i fiocchi capitanati dal canuto Ken Loach, il cavaliere inglese dell’impegno civile: I, Daniel Blake è una Palma d’oro non certo immeritata. Nella scia del regista inglese si muovono il rumeno Cristian Mungiu (Baccalauréat, un film di chiaro spirito neorealista), l’iraniano Asghar Farhadi (Il cliente), il filippino Brillante Mendoza (Ma’ Rosa), i fratelli Dardenne (La fille inconnue non è però il loro film migliore): infine gli americani Jeff Nichols (Loving) e Jim Jarmush (Patterson) autori di due limpide opere classiche stranamente assenti dal Palmarès.
Già, il Palmarès. Che le giurie si possano sbagliare è risaputo, quella presieduta dall’australiano George Miller (pur avendo il merito di aver centrato la Palma d’oro) rischia di passare alla storia per aver “sbagliato” quasi un terzo dei premi; come prendere sul serio operine mediocri come quelle di Assayas e della Arnold, e lasciarsi sfuggire un gioiello come Toni Erdmann della regista tedesca Maren Ade? Che questa sorprendente, magistrale commedia satirica(i tedeschi sanno anche far ridere) fosse una grande rivelazione ce n‘eravamo accorti fin dalla presentazione-stampa: caso più unico che raro, durante la proiezione i critici avevano sottolineato il loro crescente interesse con applausi sempre più frequenti.
Maren Ade è la vincitrice morale di Cannes 2016 e meritava di più del Premio (di consolazione) della Fipresci. Occhi cerulei di ghiaccio, Ines, la altera protagonista del film, insensibile alle emozioni, è “consulente” di una grande società tedesca a Bucarest. Rendendosi conto che la figlia vive solo per la carriera come sotto una campana di vetro, quel burlone del padre (Winfried) decide di andarla a snidare nella sua tana. Convinto che l’umorismo sia la sola lingua che Ines possa forse capire, inventandosi delle identità fittizie (si fa chiamare Toni Erdmann) il genitore comincia ad invadere abilmente la sfera professionale dell’inamidata “consultant” deciso a metterla in crisi, e a colpi di raffinata ironia riesce a poco a poco a fa volare in frantumi “clichés”, convenzioni, abitudini, barriere protettive; Ines finisce per riavvicinarsi a quel padre invadente e burlone, a ritrovare un senso umano alla vita… La regista (al suo terzo film) racconta questa gioiosa metamorfosi con una grazia, una semplicità, una chiarezza ammirevoli.
Su un soggetto originale di grande attualità (Ines riassume in sé le contraddizioni di milioni di moderne donne in carriera), Maren Ade riesce a costruire una commedia satirica irresistibile (tra le scene da antologia un delirante niked party non programmato, da rotolarsi per terra), che ci inchioda alla poltrona per quasi tre ore. Purtroppo nei festival le commedie si sa non hanno fortuna, infatti in settant’anni Cannes ha premiato solo MASH (Robert Altman) e Signore e signori (Pietro Germi). Anche senza premi ufficiali, di questo “capolavoro” si parlerà comunque molto quando uscirà in Italia.
Cannes non è solo il Concorso, ci sono anche le sezioni parallele, tra cui la prestigiosa Quinzaine des Réalisateurs, nata per ricuperare le opere “di ricerca” rimaste fuori dal Concorso (a volte condizionato da fattori contingenti di tipo…commerciale). Da quando a dirigerla c’è il geniale Edouard Waintrop la “Quinzaine” si sta imponendo sempre più come un secondo festival parallelo. In un anno in cui la produzione italiana era fuori dal Concorso, la scelta di Edouard Waintrop di invitare alla “Quinzaine” ben tre film italiani di alta qualità, diretti da registi di generazioni diverse – Fai bei sogni (Marco Bellocchio), La pazza gioia (Paolo Virzì), Fiore (Claudio Giovannesi) – è parsa come un provvidenziale risarcimento. «Chi parla di crisi del cinema italiano si sbaglia della grossa» ci confida l’amico Edouard; «in tutta onestà debbo dire che avrei potuto invitare alla “Quinzaine” altri due bei film italiani! Tenevo molto al fatto che Bellocchio inaugurasse la “Quinzaine”; Marco è uno dei più grandi maestri internazionali della sua generazione, rimasto stranamente un po’ in disparte. In un Omaggio tenuto mesi fa a Ginevra e Losanna avevo avuto modo di verificare quanto il pubblico ammiri la sua opera.
Se ci fai caso i tre film di Bellocchio, Virzì, Giovannesi presentati alla “Quinzaine” davanti a un pubblico osannante parlano tutti in modo diverso della nascita dei sentimenti. Fai bei sogni mostra come un uomo si costruisce nel ricordo della madre scomparsa quando aveva nove anni. La pazza gioia racconta la storia di due ragazze di carattere opposto che si incontrano e nonostante tutto diventano amiche. Fiore parla di una giovane ribelle che a poco a poco si umanizza in carcere a contatto con l’amore di un altro detenuto. Mentre seguivo gli animati dibattiti dei tre registi con il pubblico (ci teniamo a questi incontri a caldo dopo la proiezione) pensavo che gli spettatori stavano rendendo un caloroso omaggio alla grande tradizione del cinema popolare italiano: Monicelli, Scola, Risi. A proposito sto già pensando a preparare a fine anno un grande omaggio a Dino Risi in occasione del centenario della nascita…». Edouard Waintrop si è già rimesso in azione; certo, se tipi come lui non esistessero…
In foto: Toni Erdmann, regia di Maren Ade.
di Aldo Tassone