Cannes 2010 – Route Irish, un film di Ken Loach
Route Irish (La strada irlandese) è il nome dato dai militari alla via che collega l’aeroporto di Bagdad alla Zona verde, il quartiere superprotetto in cui hanno sede le ambasciate e molti edifici pubblici. E’ anche il titolo dell’ultimo, attesissimo, film di Ken Loach presentato oggi al Festival. Al centro della vicenda c’è un contractor, un militare che fa parte di quei soldati di ventura privati che assicurano la protezione delle persone importanti e dei giornalisti che soggiornano nella capitale irachena. Ritornato a Liverpool, dopo un lungo soggiorno in scenari di guerra prima come membro dei reparti speciali inglesi poi come militare privato, va in crisi quando gli annunciano che il suo migliore amico, da lui stesso convinto a farsi mercenario, è morto in un agguato sulla famosa strada. Tuttavia sono troppe le cose che non quadrano e lui si mette alla ricerca della verità che emergerà in tutto orrore quando scoprirà che il compagno è stato, di fatto, ammazzato da uomini della stessa società che l’aveva ingaggiato i cui dirigenti erano in panico per le rilevazioni che lui voleva fare in merito a una delle tante uccisioni ingiustificate di civili di cui aveva le prove. Il protagonista riuscirà a fare vendetta ammazzando uno dei complici della montatura e facendo saltare in aria i dirigenti della società, questo subito dopo che hanno firmato un accordo con un’azienda americana, direttamente controllata dalla CIA, che apre loro nuovi orizzonti in chissà quanti altri paesi in guerra. Il tema della privatizzazione strisciante delle guerre è al centro di questo film che intende denunciare, lo ricorda lo sceneggiatore Paul Laverty, come la sola americana Halliburton, la stessa di cui è stato presidente Dick Cheney uno dei punti di forza dell’amministrazione di George W. Bush, abbia consentito al suo presidente, David Lesar, di guadagnare poco meno di 43 milioni di dollari nel solo 2004. Ancora una volta Ken Loach affronta un tema di grande attualità e lo fa con un film lineare, plausibile, coraggioso anche se non privo di qualche punta retorica. Il vero problema è che, come accaduto altre volte, quando questo cineasta abbandona la provvida miscela di denuncia e ironia che rimpolpa i suoi testi migliori per scegliere la strada del dramma, perde qualche cosa nella sua forza. Come dire che ci consegna un’opera bella e necessaria, ma non perfetta come alcuni dei suoi testi precedenti in cui dominava lo sguardo sul proletariato e mancava la voglia d’avventura.
di Umberto Rossi