Cannes 2001: incontro con i fratelli Coen e David Lynch
Uno ha usato la macchina da presa per costruire l’ennesimo enigma, gli altri per mettere in scena una rivisitazione del cinema noir americano.
David Lynch e Joel Coen – Ethan si limita a firmare sceneggiatura e produzione, ma è indistinguibile il limite della collaborazione tra i fratelli – si sono divisi il premio alla regia al Festival di Cannes edizione 2001.
L’ex-equo testimonia dell’impossibilità per Liv Ullman e gli altri giurati di privilegiare uno solo dei due autori americani, accomunati dall’essere oggetto d’amore di cinefili e giurie di mezzo mondo, ma il cui cinema in patria è apprezzato quasi esclusivamente da un pubblico selezionato e colto. A incontrarli sembrano appartenere a culture diverse, eppure molti sono i punti di contatto che riconducono a una stessa volontà di non allinearsi, di restare dei cineasti irregolari.
Lynch conserva un’aura maledetta che lo connota al primo sguardo come regista estremo, radicale, per nulla preoccupato di raccontare la verità ma anzi attratto da ciò che sta dietro le immagini, fosse anche il vuoto. “Credo che uno dei maggiori poteri di attrazione del cinema sia la sua tendenza all’astrazione – sentenzia serafico in conferenza stampa – ma sono altrettanto convinto che sia sufficiente offrire al pubblico anche una sola chiave di lettura, e in Mulholland Drive se ne possono trovare più di una, per condurlo fino al dipanarsi di ogni mistero”.
I Coen, al contrario, si muovono in un territorio che pur lasciando ampio spazio all’irruzione dell’imponderabile nella realtà, amano raccontare personaggi per nulla eccezionali. “Abbiamo fatto nostra un caratteristica presente nei romanzi di James M. Caine, cui ci siamo ispirati per The Man Who Wasn’t There, e cioè l’adesione all’universo della gente comune. Nei nostri film – ripetono Joel e Ethan all’unisono – ci sono spesso storie di americani medi che si ritrovano in situazioni ingestibili, che gli scappano di mano perché beffati dal caso o dal destino” .
A unirli anche una dichiarata e meticolosa attenzione verso gli attori e la loro fisicità, sebbene i risultati siano quanto di più lontano si possa pensare. I corpi in Mulholland Drive, esaltati in ogni gesto, movimento, sguardo, sembrano arrivare dalle tenebre, dallo spazio indefinito del sogno. Quelli che animano The Man Who Wasn’t There evocano icone lontane – Humprey Bogart, Fred MacMurray, Raymond Burr, Bette Davis, Barbara Stanwyck – fissate in un palpitante bianco e nero.
Musa dei Coen di nuovo Francis McDormand, stupenda nei panni della traditrice. “Non l’ho scelta perché è mia moglie – ci tiene a precisare Joel -, e quando mio fratello e io scriviamo una sceneggiatura non pensiamo per forza di cose a lei. Però si rivela spesso perfetta per le parti che abbiamo in mente. Come perfetto è qui Billy Bob Thornton, che riesce a essere passivo senza scomparire dietro il personaggio. Ci ha fatto pensare a Montgomery Clift, alla sua classicità, alla sua capacità di aver spesso rappresentato eroi attraversati dagli eventi. Questo film, negli anni Cinquanta, lo avrebbe sicuramente interpretato lui.” Sui suoi protagonisti Lynch ha poco da dire, e si capisce che preferisce lasciar parlare le immagini, pur ribadendo di non essere mai stato troppo interessato ai divi. Prerogativa di un cinema in cui l’attore si insinua fortemente nella composizione dell’immagine, fino a perdersi dentro di essa.
Ma più che per ogni altra cosa, i mondi diversi dei Coen e di Lynch si incontrano grazie a un identico modo di lavorare ai singoli progetti, a una condivisa maniacalità registica che sfiora la perfezione, a una stessa matrice di indipendenti. Ancora oggi i registi di Fargo si producono i loro film, pur appoggiandosi a case di produzione esterne.
Lynch, dal canto suo, dopo essersi guadagnato in patria la fama di autore ingestibile e perdente al botteghino, i soldi per Mulholland Drive, nato come serie tv mai portata a termine, ha dovuto trovarli in Francia. Sono d’accordo nel ritenere che il concetto di cinema indipendente abbia perso il suo significato, e che in America non si tratti più di budget più o meno alti ma di rimanere fedeli alla propria idea di cinema. Quella che si risolve in un affascinante quanto cerebrale mistero, nel caso di Lynch, che non accetta le provocazioni dei giornalisti pronti scalfire la sua granitica impenetrabilità rifiutandosi di offrire letture del nuovo film.
Mulholland Drive è una bellissima strada è la sola spiegazione concessa – che corre lungo la costa da Santa Monica a Malibu. E’ affascinante di giorno e misteriosa di notte. Il mio film vuole essere come quella strada: tortuoso, irregolare, fitto di tenebre, carico di misteri. E anche se c’è una trama, rappresentata dalla storia d’amore tra le due protagoniste, spero che gli spettatori si lascino incantare dalle atmosfere senza voler a tutti costi trovare una vera e propria soluzione”.
Per i Coen le tortuosità della vita sono negli scherzi del destino che fanno perdere la strada giusta ai loro eroi di tutti i giorni. Al contrario di Lynch ammettono senza vergogna di aver messo in scena un noir, con l’occhio ai grandi classici come La fiamma del peccato o Il falcone maltese. “Siamo interessati al quotidiano, a personaggi ordinari dalla vita banale che desiderano che per un momento di essere gli artefici del proprio destino.
Siamo anche attratti dalla rappresentazione del caso, che travolge le esistenze e spinge le persone a prendere iniziative che mai avrebbero immaginato. Persino il pigro protagonista di Il grande Lebowski è travolto contro la sua volontà. In The Man Who Wasn’t There poi, quello che sembra un semplice ricatto ha conseguenze sconvolgenti: è sempre così nei noir, assicurazioni sulla vita, furti, ricatti, non vanno mai come dovrebbero andare!”
di Angela Prudenzi