A Sguardi Altrove, ritratti, omaggi, e visioni sociali al femminile – Conclusioni

Si è da pochi giorni conclusa a Milano la parte specificamente filmica del Festival “Sguardi Altrove”, che   prosegue tra incontri, workshop e mostre (tra cui, sino al 27 marzo alla Triennale di Milano,  la mostra  multidisciplinare  “Made in Africa: trame, colori, forme di un continente” dedicata alla creatività africana al femminile). Da segnalare, sempre all’interno dei questa mostra – e in collaborazione con il Festival africano, d’Asia e d’America Latina – la video-installazione di William Kentridge (inaugurata oggi alla presenza dell’artista) “What will come (has already come)”, che esplora la guerra d’Abissinia del 1935 ma evoca al tempo stesso recenti conflitti contemporanei, come l’invasione dell’Iraq da parte degli Usa (l’evento si  inserisce, peraltro, nel fitto programma  di omaggi che la città di Milano rende al grande e poliedrico artista sudafricano, chiamato anche a curare la regia e le coreografie del “Flauto Magico” di Mozart alla Scala).

Volendo dar brevemente conto ai premi assegnati per le sezioni competitive segnaliamo che il Concorso internazionale lungometraggi ‘Nuovi Sguardi’ è stato vinto  da  The drifter di Tatjana Turanskji. Il film della regista tedesca di origine ucraina (era al Forum della  Berlinale 2010)  ha come più pertinente titolo originale Eine Flexible Frau (citazione-omaggio de ”L’uomo flessibile” di Richard Sennett)  narrando infatti, senza velleità sociologiche ma con sguardo all’apparenza freddo e distaccato, le tristi ma ormai comuni vicende di Greta,  berlinese quarantenne che perde il suo lavoro di architetto e si adatta a lavorare in un call-center, tra frustrazioni e solitudini metropolitane. Per gli altri due concorsi, i premi sono andati per il concorso internazionale documentari a  12 Angry Lebanese, esordio nel documentario della regista libanese Zeina Daccache e (per il concorso corti italiani) a (ex aequo)  Salve Regina di Laura Bispuri e a Tre ore di Annarita Zambrano.

In questa sede, peraltro, preferiamo soffermarci su alcune opere italiane, inedite o assai poco viste (nonostante, in qualche caso, importanti passaggi festivalieri), che, da un lato, ci offrono intensi ritratti umani e artistici, dall’altro, confermano la crescente vitalità della forma narrativa del documentario presso i giovani -ma soprattutto, essendo da 18 anni “Sguardi Altrove” una vetrina privilegiata del cinema “al femminile”- delle  giovani filmmaker di casa nostra. Tra i loro  punti di riferimento queste giovani autrici possono certo annoverare un regista coerente, realmente indipendente  e coraggioso come Daniele Segre, pioniere del cinema di documentazione sociale nel nostro paese, ospite di Sguardi Altrove con due diverse recenti fatiche (ora disponibili anche in DVD, almeno attraverso il sito della sua casa di produzione “I cammelli” che festeggia quest’anno il suo trentennale).

Il primo lavoro, Lisetta Carmi, un’anima in cammino (già presentato, peraltro un po’ in sordina, alle “Giornate degli autori” di Venezia 2010 ) ci regala (dopo quello di Inge Feltrinelli curato da Luca Scarzella e Simonetta Fiori e dell’editrice  Rosellina Archinto diretto da Daniela Trastulli, presentati da Sguardi Altrove) un altro emozionante ritratto di una donna eccezionale (e dalle molteplici vite).Nata a Genova nel 1924 da una famiglia ebraica, dopo aver vissuto da giovane le leggi razziali e l’esilio (interrompendo una promettente carriera da pianista),  scopri la fotografia quasi per caso e fu la prima, nell’Italia ancora bigotta e retrograda degli anni ’60, a immortalare con grande amore e umanità  i travestiti di Via del Campo e dintorni (gli stessi poi cantati da De Andrè), come pure i portuali genovesi. In viaggio per l’Italia e per il mondo, per quasi 20 anni, ritrasse  con il suo obiettivo i diseredati di tanti Sud, e colse infine le immagini più belle di Ezra Pound vecchio e malato nel suo ritiro di Rapallo (foto che sono esempio mirabile delle teorie di Cartier-Bresson sul “momento decisivo”); poi, alla fine degli ’70,  l’incontro in India con Babaji e l’inizio di un’altra vita che la vide abbandonare la fotografia e fondare il primo Ashram in Occidente, a Cisternino, dove ha vissuto per molti anni in un piccolo trullo (come ha annunciato Segre, presente a Milano, il 12 aprile a Lecce si inaugurerà una grande mostra antologica dedicata alla Carmi nell’ambito del ‘Festival del cinema europeo’).

Della classe del ‘24 è anche Morando Morandini, al quale  Daniele Segre ha dedicato il recentissimo Je m’appelle Morando, alfabeto Morandini, affettuoso omaggio, presentato sempre  al Festival,  reso al decano della critica cinematografica  italiana (iniziò nel 1952 a “La Notte” e fu titolare di rubrica al “Giorno” dal 1965 al 1998). Un progetto che ha richiesto anni di gestazione, inseguendo il filo dei tanti ricordi umani e professionali di Morandini, tra la casa e le stradine di Levanto e la sua casa-studio milanese, ingombra di libri, carte e schedari, per la “Storia del Cinema” redatta negli anni ’90 con Goffredo Fofi e Gianni Volpi e poi per il celebre dizionario “di famiglia” (nel corso della stessa serata si è visto anche il bel documento curato nel 2009 da Tonino Curagi e Anna Gorio,  Morando Morandini, non sono che un critico, sua amata citazione dall’Otello scespiriano, che dava anche titolo alla sua autobiografia edita nel 1995).

Come già fatto da diversi festival italiani ed europei, un omaggio commosso (anche per la presenza della vedova) è stato rivolto da Sguardi Altrove a Corso Salani (prematuramente scomparso nel giugno dello scorso anno). Di questo regista e attore, tanto schivo quanto penetrante, che aveva ben precorso i tempi sulle tematiche dell’incontro/scontro tra le culture (la sua docu-fiction d’esordio, Voci d’Europa, è del 1989) si sono visti due episodi (Deva, Romania e Cesena, Italia) del progetto internazionale di docu-fiction “I casi della vita” dedicato al tema della sicurezza del lavoro e delle “morti bianche”, bruscamente interrotto ma che Enel (che sostiene il progetto) intende proseguire, anche in memoria del regista fiorentino.
Intenso (come la sua vita) anche il Ritratto di mio padre, ovvero del grande Ugo Tognazzi, ad opera delal figlia Maria Sole, che cuce abilmente filmini e super8 di famiglia, per lo più inediti, con le testimonianze dei suoi compagni di lavoro, da Monicelli a Scola. Da Michel Piccoli a Laura Morante.

Le giovani filmmaker italiane, si diceva. Molte di queste operano proprio nell’area milanese e il loro sguardo acuto di donne, intriso di passione civile ma che riesce a cogliere  dettagli e  sfumature in opere di buona qualità formale. Via Padova, istruzioni per l’uso, di Anna Bernasconi e Giulia Ciniselli, è un’incursione antropologica nella tormentata via milanese (e fin dentro i suoi affollati falansteri), simbolo della difficile sfida dell’integrazione: folgoranti ritratti di donne straniere, che si raccontano senza paura e reticenze davanti alla camera che le due filmmaker usano con sguardo neutro e puro, privo di qualsiasi “peloso” interesse da reportage giornalistico.  Il sogno di una possibile convivenza passa anche dalla rivalorizzazione e riappropriazione comune di spazi urbani, come il naviglio della Martesana: lo racconta, con sguardo attento e poetico, Titta Cosetta Raccagni in Martesana.Le stagioni in città: estate (prima parte di un ciclo che seguirà lo scorrere di un intero anno in quest’area milanese, assai vicina a via Padova). Tutt’altra atmosfera, ben più tesa ed esacerbata, nella periferia urbana di Rogoredo, a ridosso della tangenziale est,  tra gli abitanti delle case imbottite di amianto (dette le “case bianche” o le “white”) che si battono invano contro questa fonte conclamata di malattie sin dalla metà degli anni ’80. Simona Risi ne Le White, dà voce a questo composito e oggi anche  multietnico spaccato sociale: cittadini (italiani e non) dimenticati dalle istituzioni:  una delle tante  paradossali vergogne dei nostri tempi, nella Milano proiettata verso i fasti del’Expo 2015.


di Redazione
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