47a Mostra Internazionale del Muovo Cinema di Pesaro – Il film vincitore

Sette i film in gara nel Concorso Pesaro Nuovo Cinema – Premio Lino Miccichè, la sezione competitiva (con un premio di tremila euro) istituita sette anni fa:  dalla Corea The Journals of Musan di PARK JUNG-BUM, dall’Argentina con Medianeras di GUSTAVO TARETTO, dalla Francia, questa volta con un’opera di non fiction, Qu’ils reposent en revolte di SYLVAIN GEORGE, dalla Germania Headshots dell’americano berlinese LAWRENCE TOOLEY. New entry del concorso, invece, la Thailandia con lo spirituale Eternity di SIVAROJ KONGSAKUL, lo Sri Lanka con il drammatico Flying Fish di SANJEEWA PUSHPAKUMARA e il Brasile con la commedia nera Trabalhar Canda di JULIANA ROJAS & MARCO DUTRA. A decretare il vincitore, una giuria composta dal saggista, giornalista e critico cinematografico del Messaggero Fabio Ferzetti, dalla sceneggiatrice e regista Marina Spada e dall’attrice Isabella Ragonese.

Il film vincitore è MUSANILGI / THE JOURNALS OF MUSAN di Park Jung-Bum. La giuria ha evidenziato i motivi della scelta nella motivazione: ” Per la profonda adesione personale e l’ininterrotta tensione morale con cui testimonia la lotta quotidiana, le lacerazioni interiori e la disperata speranza del suo protagonista, ultimo fra gli ultimi. Facendo luce al tempo stesso, con stile sempre asciutto e coinvolgente sulla condizione degli emigrati dalla Corea del Nord, su uno degli aspetti più drammatici e soprattutto nascosti della società coreana.

Il regista coreano Park Jung-bum (già assistente alla regia di Lee Chang-dong per Poetry), ha spiegato così la genesi di The Journasls of Musan, di cui è anche interprete principale: “Siamo nati e cresciuti con il problema della divisione tra Corea del Nord e Corea del Sud, per noi è un’abitudine: la tensione ce la portiamo dentro la testa e nel cuore da sempre. Volevo raccontarlo”. The Journals of Musan racconta la storia di Jeon Seung-chul, un rifugiato politico docile e leale, nato a Musan nella Corea del Nord, che, per ovviare alle difficili condizioni economiche in cui si ritrova decide di intraprendere un viaggio “di scappare dal nord per essere felice” e di trasferirsi a Seoul. Qui però s’imbatte in persone ciniche e disoneste, è costretto a vivere, relegato ai bordi di una società spietata, in una periferia in cui il degrado scavalca la dignità umana e dove sembrerebbe non ci sia posto per uno come lui. L’unica misera occupazione che riesce a trovare e che gli permette di sopravvivere è affiggere manifesti pubblicitari sexy in giro per la città. La sola distrazione alle fatiche quotidiane è rappresentata dall’incontro con una donna, Sook-young, cantante nel coro nella sua stessa chiesa. In un primo momento, la corista non si accorge neanche dell’esistenza del ragazzo e lui, continuamente sottoposto a vessazioni, non ha la forza e il coraggio di farsi avanti. Ciò nonostante, nel suo tempo libero, Seung-Chul non perde di vista il suo obiettivo, e segue passo passo la misteriosa Sook-young in giro per la città, fino a quando una sera, dopo l’ennesimo inseguimento, i due si ritrovano a cantare in un karaoke dove lei lavora tutte le notti. Pur di avvicinarsi a lei il ragazzo cercherà di farsi assumere in quel bar. A proposito della chiesa, Park Jung-bum racconta: “Quando i nordcoreani arrivano al Sud ricevono un sostegno solamente dalla Chiesa cristiana che li aiuta a trovare lavoro e a inserirsi in una società diversa che li guarda con gli occhi del pregiudizio. Sono moltissimi i coreani che vanno in Chiesa. È un vero punto di riferimento sotto molti punti di vista, compresa l’educazione dei bambini che lì hanno l’occasione di imparare cose nuove e di studiare musica. Il mio popolo lavora moltissimo, tutto il giorno, torna a casa distrutto, stressato, poi la domenica si mette il vestito buono, va a messa, canta e si sente in salvo”. L’intento del film è di denunciare e di mostrare al pubblico le grandi difficoltà, le umiliazioni, le ingiustizie che i nordcoreani sono costretti a subire pur di integrarsi nella società capitalista della Corea del Sud, dove spesso i rifugiati, i migranti, diventano schiavi dell’emarginazione e vittime di austerità e pregiudizi. E lo fa con le immagini molto più che con i dialoghi. E con il viso di Park Jung-bum: “Ho voluto interpretare il protagonista in modo che non fossero le parole a parlare, ma le mie espressioni. Le scene dei maltrattamenti erano reali, sentite, dolorose. All’inizio ero costretto a essere anche attore dei miei film per questioni economiche, questa volta l’ho scelto”. E conclude così: “Per la trama del film mi sono ispirato alla biografia di un mio amico, e solo io conoscevo a fondo le idiosincrasie e le complessità interiori del personaggio; nessun altro avrebbe potuto sostituirmi in questo ruolo difficile”.

(comunicato stampa)


di Redazione
Condividi