25a Settimana Internazionale della Critica – Oča di Vlado Škafar
Oča dello slovenoVlado Škafar è un’opera prima centrata sull’incontro/scontro tra un padre assente (Miki Ros) e il piccolo figlio (Sandi Salamon), più autonomo e lucido di lui. L’uomo è un operaio preoccupato per la crisi economica, il bambino vive con la madre e soffre per la separazione dei genitori. Il film, fatto di immagini evocative, di lunghi silenzi e di dialoghi essenziali procede per stati d’animo, schermaglie, riavvicinamenti, pianti liberatori. Protagonista, accanto ai due personaggi principali, è la natura che, con la sua immobilità, pare suggerire, al di là delle vicende individuali, risposte universali. “Lasciamo che il cinema sia poesia. Lasciamo che i motori silenziosi guidino la storia” – ha affermato il regista, il quale, coerentemente con questo assunto, fa delle dissolvenze incrociate non un mero segno d’interpunzione cinematografica bensì un contrassegno del proprio stile (“Come, nella vita, le persone si avvicinano, si sfiorano, si trasformano, così, nel mio film, le immagini si toccano e diventano altro”). Se la domenica trascorsa nel bosco da padre e figlio è all’insegna della quiete, il giorno successivo segna un repentino cambiamento di registro e di stile: una didascalia informa che, durante le riprese del film, si stava svolgendo una tragedia per i lavoratori e il regista sloveno abbandona i toni lirici per dar vita ad una sorta di reportage che, coinvolge, naturalmente, anche il protagonista. Così facendo, però, crea una brusca spaccatura all’interno dell’opera e disorienta lo spettatore che, da un ambiente irreale e quasi bucolico, si vede improvvisamente catapultato nella realtà delle fabbriche in crisi. L’ottimo lavoro svolto dagli attori, intensi e credibili, viene, infine, vanificato e disperso dall’irrompere di un tempo e di uno spazio ordinari rispetto a quelli interiori e simbolici, privilegiati originariamente.
di Mariella Cruciani