24. Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina – Milano
Si svolgerà dal 6 al 12 maggio, a Milano, l’edizione n. 24 del Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina, per il secondo anno nella nuova collocazione temporale di piena primavera. Quest’anno però – e la scelta appare in linea con i tempi – il Festival riduce giorni di programmazione, numero di film e di sezioni, ma moltiplica il numero di “film-evento” e le attività collaterali, che investono diversi luoghi e sale della città, anche in zone più periferiche, ma mantiene il suo quartier generale multiculturale nel “Festival center” di Porta Venezia.
In realtà, il Festival si conferma un appuntamento centrale per scoprire le attuali tendenze di tante cinematografie che pensano e producono fuori dalle prospettive euro-holliwoodiane; ma anche di quel cinema “meticcio” che ibrida sguardi, estetiche, ma anche capacità produttive e risorse finanziarie. Di quest’ultimo, ne è chiaro esempio il film scelto per l’inaugurazione (martedì 6), ovvero l’anteprima italiana di Two men in town (La voie de l’ennemi) del regista franco-algerino Rachid Bouchareb, che ha all’attivo una filmografia tanto scarna quanto ricca di titoli importanti, da Poussiére de vie, 1994, a London River, 2009. Bouchareb si cimenta qui per la prima volta con un poliziesco e con il cinema di Hollywood (il film batte comunque bandiera franco-statunitense, con un sostegno anche algerino), e conta per l’occasione su un cast d’eccezione (Forest Whitaker, Harvey Keitel, Brenda Blethyn). Il film, che era in concorso alla Berlinale 2014, è un libero remake di Due contro la città, (film franco-italiano del 1973 diretto da Jose Giovanni, con Jean Gabin e Alain Delon); il focus sulla pena di morte che era al centro di quel film si sposta qua sul conflitto tra società americana a mondo arabo, tema certo più caro a Bouchareb.
Un’altra attesa anteprima, alla presenza del regista cinese Diao Yinan, è quella di Black Coal, Thin Ice (mercoledì 7), insolito detective movie ambientato nel nord della Cina, che, sempre a Berlino ha vinto quest’anno l’Orso d’oro, sopravanzando, tra gli altri, i film, di ottima fattura ma certo intrisi di memoria e immaginari occidentali, di Wes Anderson o Richard Linkleter.
Guarda invece nella maggior parte dei casi alla contemporaneità il concorso lungometraggi “Finestre sul Mondo” (che supera la classica distinzione tra fiction e documentario), dove si segnalano in particolare alcune opere provenienti dai tre continenti: il documentario An inconsolable memory, dell’eclettico regista/artista sudafricano Aryan Kaganof che ricostruisce le vicende della prima storica compagnia lirica di colore del Paese, la Eoan Company; Des étoiles della senegalese Dyana Gaye, (in una coproduzione con Francia e Belgio), storia di esili, clandestinità e destini incrociati tra Dakar, Torino e New York; Palestine Stereo, ultimo tassello di una “trilogia tragicomica” sulla quotidianità nella West Bank del regista Rashid Masharawi, da oltre venti anni tra gli esponenti principali del nuovo cinema palestinese; l’atteso ritorno al Festival con Scheherazade’s Diary della regista libanese Zeina Daccache, che, come già per l’esperienza di 12 Angry Lebanese, realizza un progetto nato da un laboratorio teatrale di dieci mesi condotto nel 2012 con un gruppo di donne incarcerate a Beirut (la Daccache, che oltre che regista è psicologa e drama-therapist, domenica 11 allo Spazio Oberdan condurrà anche una masterclass promossa dal Milano Film Network); dall’America Latina giungono Matar a un hombre del cileno Alejandro Fernandez Almendras, un thriller ad intensità crescente, già premiato al Sundance Film Festival 2014 ma anche Mercedes Sosa, la voz de Latinoamérica, omaggio dell’argentino Rodrigo H. Vila all’interprete musicale simbolo di un intero continente; infine dal continente asiatico, e ancora via Berlino, giunge The rice bomber della taiwanese Cho Li, la storia vera di un contadino che lottando contro le autorità per difendere i suoi diritti è diventato un eroe nella nativa Taiwan.
Se il continente africano ha pochi titoli nel concorso lungometraggi (spia evidente delle difficoltà produttive), il concorso riservato ai cortometraggi africani allinea titoli sulla carta assai promettenti. Tra questi ricordiamo: Afronauts della ghanese Frances Bodomo che racconta una storia poco nota e surreale, ovvero il tentativo della “Zambia Space Academy” che, nel luglio 1969, avrebbe cercato di imitare il lancio dell’Apollo 11; Une feuille dans le vent, ultima opera del noto documentarista africano Jean-Marie Teno che va ancora una volta sulle tracce della memoria del suo paese, il Cameroun; mentre uno sguardo originale sui conflitti generazionali in una famiglia di immigrati arabi in Francia è quello offerto con Zakaria dalla tunisina Leyla Bouzid (figlia del noto regista Nouri Bouzid).
A incrociare gli sguardi e le prospettive identitarie pensa invece il concorso “Extr’A” riservato a opere di cineasti italiani centrati sulle tematiche dei flussi migratori e del dialogo tra le culture. Tra i titoli più attesi: Ouine algeria? (Dov’è l’algeria?) di Lemnaouer Ahmine, regista e cameraman algerino che vive da più di 20 anni in Italia. Si tratta di un racconto personale che intreccia ricordi e ritratti familiari con la storia del suo Paese a 50 anni dall’indipendenza; il documentario vincitore del premio della Giuria al Torino Film Festival Striplife – Gaza in a day, opera collettiva di cinque giovani registi: Nicola Grignani, Alberto Mussolini, Luca Scaffidi, Valeria Testagrossa, Andrea Zambelli; l’anteprima milanese del documentario Il futuro è troppo grande di Giusy Buccheri e Michele Citoni, bel ritratto di due giovani “G2” italiani alle prese con le aperture e le contraddizioni della nuova Italia multiculturale.
Ancora tra gli eventi speciali che riflettono sull’attualità sociale e politica sono da segnalare da una parte, la celebrazione dei 20 anni della democrazia in Sudafrica con l’anteprima italiana del film Nelson Mandela: the Myth and Me di Khalo Matabane, già premiato all’International Documentary Festival of Amsterdam (IDFA): un viaggio appassionato e personale del regista che si interroga sull’ “uomo” Mandela (e interroga tante persone che lo hanno conosciuto da vicino), al di là dei toni agiografici spesso adoperati dai media alla sua morte; dall’altra, l’attenzione alla rivoluzione siriana con l’anteprima di Ladder to Damascus di Mohamed Malas, il grande maestro del cinema siriano, tornato dietro la macchina da presa dopo anni di silenzio per girare clandestinamente una rappresentazione simbolica e stilizzata della guerra civile siriana, senza mai mostrarla.
Infine, tra le sezioni parallele, si segnala la seconda edizione di Films that Feed (FTF), organizzata, con FTF e Fondazione ACRA-CCS (e da quest’anno con il patrocinio di Slow Food) che presenta, in attesa di Expo 2015, una selezione di film e video sulle sfide dell’alimentazione e della sostenibilità, accompagnate da degustazioni e incontri con esperti.
Il sito del Festiva del Cinema Africano, D’Asia e d’America Latina
di Redazione