Sul pericolo Netflix/Amazon

Una riflessione di Alberto Anile sulla questione più scottante del momento, relativa a Netflix e Amazon.

Sussurri e Grida #1: Sul pericolo Netflix/Amazon

La 75ª Mostra di Venezia passerà alla storia soprattutto per due cose: l’anteprima del wellesiano The Other Side of the Wind e, più ancora, per lo sbarco in grande stile dei maggiori broadcaster in streaming.

Ricapitoliamo. Dopo la decisione di Cannes di non accogliere in competizione film destinati alla diffusione on line in contemporanea con le sale, i giganti del settore hanno trovato nella laguna una formidabile sponda amica e vi si sono riversati, portando titoli notevoli e notevolissimi. ROMA di Cuarón (che ha vinto il Leone d’oro), The Ballad of Buster Scruggs dei Coen, 22 July di Greengrass, Sulla mia pelle di Cremonini, lo stesso The Other Side di Welles e il documentario They’ll Love Me When I’m Dead che lo accompagnava sono tutti Netflix; sono Amazon Suspiria di Guadagnino e Peterloo di Mike Leigh.

Le conseguenze saranno epocali e poco prevedibili. Sono in ballo modalità di visione, ridefinizioni estetiche, posti di lavoro. Crolleranno tradizioni e abitudini, vizi e piaceri. Gli esercenti italiani, allarmatissimi, invocano leggi più strette e i distributori cercano di nobilitarsi rispetto all’offerta in streaming moltiplicando incontri live con registi e attori, e intanto sui festival hanno cominciato a riversarsi anche le piattaforme più piccole. Ci sono pure ricadute in controtendenza, come il tentativo da parte di Netflix di comprare sale in Usa allo scopo di gestire in proprio le uscite tecniche indispensabili per concorrere all’Oscar, mentre da noi Sulla mia pelle, malgrado la concomitante diffusione on line, regge talmente bene in sala da incidere sullo stesso caso giudiziario a cui s’ispira.

Entrerà in crisi anche la definizione di cinema? Poche storie: un film rimane tale perfino sul cellulare, epperò il cinema è cinema soltanto in sala, sul grande schermo, proiettato per un pubblico raccolto in platea.

Ma non è vero che il cinema ha paura del digitale, o della novità: lo testimoniano sessant’anni e passa di concorrenza/alleanza con la televisione. Lo streaming può essere un’enorme risorsa per il cinema del futuro, e ha già dimostrato di possedere coraggio e risorse che altri non hanno. Solo un colosso come Amazon poteva convincere Woody Allen a realizzare una miniserie, e solo Netflix poteva portare a termine (e nel modo magnifico in cui l’ha fatto) quel ginepraio di montaggio e di diritti che per oltre trent’anni è stato il film incompiuto di Welles.

Il vero problema è un altro, e forse, nel dibattito che divampa da mesi, è rimasto un po’ nascosto: che questi giganti, dopo aver modificato diffusione e fruizione di quelle che un tempo si chiamavano “pellicole”, siano messi in condizione di governare l’intera filiera, dall’esclusiva dei migliori ingegni alla diffusione theatrical e on line.

Senza regole il contributo provvidenziale di un mecenate illuminato può trasformarsi da un giorno all’altro nel monopolio più asfissiante, nella tirannia più odiosa. Ciò che fa paura non è lo streaming in sé ma la possibilità che pochi s’impadroniscano del gioco e delle sue regole, dei giocatori e dei dadi. Passino o meno dalle sale, sia Amazon sia Netflix stanno accrescendo il proprio potere a tal punto e a una velocità tale da essere già ora in grado d’influenzare forme e contenuti del cinema mondiale. La decisione di Amazon di congelare sine die l’ultimo film di Allen, A Rainy Day in New York, è un segnale che dovrebbe inquietare molto più del Leone d’Oro a Cuarón.

Chi assume un potere predominante, che sia un produttore tradizionale o digitale, va sempre tenuto d’occhio. Un tempo si faceva con le sette major di Hollywood, oggi quelle da sorvegliare si chiamano Netflix e Amazon.


di Alberto Anile
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