Pasolini-Il fantasma del presente (1970-1975)

Mariella Cruciani riflette sul libro di Roberto Chiesi dedicato a Pasolini.

Presentando il suo volume su Pasolini, Roberto Chiesi – responsabile del Centro Studi-Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna -ha raccontato il suo primo “incontro” con l’intellettuale ed artista: gennaio 1978, Telemontecarlo o Capodistria trasmetteva Uccellacci e uccellini (1966). Il futuro critico, allora undicenne, voleva vedere il film per Totò ma finì per scoprire Pasolini: ovviamente, non poteva esserne cosciente fino in fondo ma ricevette forti emozioni e fu costretto a rivedere, seppur ragazzino, la sua impressione moralistica sbagliata.

Per quanto riguarda il trasferimento del fondo Pasolini da Roma a Bologna, ad opera di Laura Betti, Chiesi ha spiegato che è stato possibile grazie alla sintonia con il sindaco Guazzaloca che assunse, con l’attrice, un atteggiamento remissivo. La Betti aveva una personalità complessa: vi era in lei una fusione di aggressività e tenerezza, era di una violenza tellurica ma sapeva essere anche dolce e generosa. Pasolini nutriva per lei un misto di odio-amore e, forse, era affascinato dalla sua grinta. Ciò nonostante, se si pensa ai ruoli da lei interpretati, si riscontra una ricchezza di registri che va ben oltre la veemenza o l’ironia.

Venendo più direttamente al libro, Chiesi si è concentrato sui lungometraggi realizzati dal regista dal 1970 al 1975: nei film di questo periodo è completamente assente il presente, come se Pasolini si rifiutasse di filmare l’Italia dell’epoca. La sua è una vera e propria crisi di rigetto per come è diventato il mondo e contro le persone che hanno aderito al cosiddetto “sviluppo” e al mondo del consumismo, con oggetti, abiti, arredi tutti uguali e fatti in serie. Nella Trilogia della Vita, Pasolini inquadra, invece, solo cose di legno o di pietra, costruite dall’uomo: vuole filmare, programmaticamente, quel che rimane di un mondo scomparso per farlo rivivere, almeno sullo schermo.

Non si tratta di una posa ma della sofferenza autentica di un uomo, deluso dal mondo popolare, ed estraneo a quello attuale: mentre nei suoi scritti viviseziona i tratti della società in cui è costretto a vivere, nel cinema Pasolini si difende guardando indietro. Ma a quale passato pensa davvero? Quali sono le caratteristiche, anche fisiche, concrete, del mondo che rimpiange così disperatamente? Il lavoro di Chiesi cerca di rispondere a queste domande e, per farlo, si sofferma anche su opere come Pasolini e…la forma della città (1974) o Le mura di Sana’a (1974).

Nel primo caso, una mera intervista televisiva diventa una sorta di “Scritto Corsaro” audiovisivo contro il degrado, nel secondo, un significativo luogo particolare rimanda, su scala più vasta, al tema della conservazione della cultura e dell’arte del mondo antico. Infine, dopo Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) – immagine aberrante, infernale del presente –, Pasolini intende realizzare Porno-Teo-Kolossal (1973-1975), un viaggio visionario con protagonisti Eduardo De Filippo, nei panni di un anziano Re Magio, e Ninetto Davoli in quelli del suo “schiavetto”.

Il viaggio dei due pellegrini avrebbe dovuto attraversare quattro città, quattro utopie, quattro allucinazioni: Sodoma, Gomorra, Numanzia, Ur. Se il film del 1966 con Totò e Ninetto narra l’itinerario picaresco di due sottoproletari innocenti e crudeli come bambini inconsapevoli, qui l’iniziazione è quella tardiva del Re Magio che – a differenza del suo servo- non ha alcuna esperienza della realtà ma ha vagheggiato per tutta la vita un’Utopia. Il finale è aperto (“Non esiste la fine. Aspettiamo. Qualche cosa succederà”): forse qualche fiammella di energia, di vita, di Utopia non è ancora spenta del tutto nel mondo. Forse, dopo la morte, c’è una nuova pagina bianca per ricominciare…


di Mariella Cruciani
Condividi

di Mariella Cruciani
Condividi