Omaggio a Florestano Vancini
Nella sua Ferrara, un omaggio a Florestano Vancini.
«Amo molto Ferrara e non riuscirò mai a tagliare le radici, né voglio farlo, che mi tengono unito a Ferrara e alla mia terra». Cosi dichiarava Florestano Vancini, nato proprio a Ferrara il 24 agosto 1926, da una famiglia contadina, ultimo di nove figli. Al regista, il Centro Documentazione Studi e Ricerche Cinema Ferrarese, diretto dallo storico del cinema (e membro decano del Sncci) Paolo Micalizzi, ha dedicato un sentito e doveroso omaggio, intitolato La Ferrara di Florestano Vancini. Nella bella cornice di Palazzo Roverella, mercoledì 25 ottobre, il Circolo dei Negozianti, insieme al CDS Cultura Odv, ha promosso questo interessante e partecipato incontro, all’interno di un ciclo di appuntamenti che ha il meritorio obiettivo di mantenere viva l’attenzione sul cinema realizzato nel territorio ferrarese.
Come ha sottolineato Paolo Micalizzi, con l’ambientazione ferrarese si apre e si chiude il cinema di Florestano Vancini. L’inizio nel 1960 con La lunga notte del ‘43 (tratto da Cinque storie ferraresi di Giorgio Bassani), che racconta l’eccidio fascista avvenuto sul muretto del Castello Estense. L’ultimo suo film, E ridendo l’uccise (2005), rievoca, invece, una faida dei tempi cinquecenteschi del Ducato d’Este. Due film che testimoniano l’ininterrotto interesse di Florestano Vancini per la Storia, tanto da dichiarare che, se non fosse diventato un regista, sarebbe stato uno storico.
Paolo Micalizzi ha poi accompagnato l’uditorio attraverso tutta una serie di pregevoli documentari che Florestano Vancini girò prima del suo esordio nel lungometraggio, molti dei quali ambientati tra Ferrara e il Delta del Po. Il cinema è stato per lui ricerca e memoria, impegno civile e indagine sulla storia politica italiana (gli anni del fascismo, la resistenza, l’unificazione), calando sempre le vicende personali e sentimentali dei suoi personaggi nella realtà storica del loro tempo. Florestano Vancini ha costantemente mantenuto un rapporto vivo con la sua città di origine, dove girò anche Amore amaro (1974), in cui raccontava una controversa e appassionata relazione, durante il periodo fascista, tra un giovane studente (figlio di un antifascista condannato) e una donna matura, vedova (di un gerarca) con figlio.
Come ulteriore omaggio alla sua città d’origine, il regista girò, nel 1995, il mediometraggio Ferrara, in cui la macchina da presa scruta ininterrottamente un vasto spazio, in cui convivono arte e paesaggio, dove vengono rievocati episodi e figure della storia ferrarese. Documentario proiettato al termine di questa appassionata rievocazione di un regista sempre paradossalmente inattuale per il suo stile, che ha drammaticamente raccontato forme di coscienza di un Paese il cui passato peggiore non passa mai, concentrandosi anche sulle delusioni di attese rivoluzionarie tradite o mancate. Una dialettica storica, tra rimozione e ritorno del rimosso, che caratterizza ancora oggi l’Italia.
di Davide Magnisi