Convegno SNCCI Prato – La recente produzione del documentario italiano

Negli ultimi anni si è parlato molto di documentario e della sua possibile rinascita in Italia, della sua diffusione, della sua presenza nei palinsesti televisivi e un interesse maggiore nei confronti del genere si è manifestato in vari settori, determinando l’aumento della produzione di documentari. Vari sono i motivi che hanno indotto autori e produttori verso il documentario: la mancanza di risorse economiche ha spinto alcune produzioni verso modalità di ripresa che non richiedono grossi apparati produttivi e che consentono di operare con piccole maestranze; il desiderio di andare oltre l’informazione televisiva per approfondire alcuni argomenti di attualità; maggiore voglia di libertà di espressione che spesso il cinema di fiction non offre. L’incremento della produzione di documentari in Italia in realtà è stato minimo rispetto ad altri paesi europei, perché le televisioni nazionali non hanno sostenuto, come in altre nazioni, la produzione. A tal proposito è interessante l’indagine commissionata dall’associazione Doc.it all’Istituto Italiano per l’Industria Culturale condotta da Francesca Medolago Albani per analizzare lo stato delle cose, dove emerge l’impulso positivo negli anni ’90 di Telepiù e di Planète Italia, tv a pagamento che hanno iniziato ad acquistare documentari, incentivando la loro realizzazione, ma ora è ben poco il sostegno concreto alla produzione di documentari da parte delle televisioni, sia pubbliche che private. L’unico sostegno possibile viene dall’estero, ma non sempre è facile accedere ai fondi Media per la realizzazione di documentari. In questo scenario difficile, comunque esiste negli ultimi anni una certa vitalità nel campo del documentario, che suscita maggiore interesse addirittura rispetto alla fiction, per gli argomenti trattati e per come vengono realizzate queste opere di non fiction.

Certo è che, nonostante molti siano i detrattori di Michael Moore, il suo Bowling a Colombine prima e Fahrenheit 9/11 dopo, hanno lasciato un segno anche in Italia e un desiderio sempre più forte di esprimersi con il documentario e di raccontare, attraverso le immagini, il reale. Il documentarismo in Italia, non nasce certo per emulare gli americani: tanti sono gli autori che dagli anni ’50 hanno delineato un ritratto interessante e vivido della nazione, prima rurale poi industriale, e che hanno dato testimonianza dei molteplici aspetti della vita italiana (la vita in fabbrica, il boom economico, la cassa integrazione, le conquiste delle donne); per citare alcuni nomi possiamo ricordare Antonioni, Zurlini, Vancini, Renzi, Baldi e poi Gregoretti, Loy, ecc.

Negli ultimi anni dagli americani è venuta la spinta ad “osare”, presentando i documentari nelle sale cinematografiche e, visti gli esiti commerciali di Moore, qualche produzione e distribuzione italiana ha sostenuto progetti documentari cercando di finanziare operazioni, un tempo credute fallimentari. Grande successo ha ottenuto, per esempio, Viva Zapatero! di Sabina Guzzanti che cerca di addentrarsi nei meandri politici di quella censura subdola che ha impedito la messa in onda del suo programma televisivo, per capirne le ragioni (se ne esistono), per comprendere come funziona l’informazione in Italia, mettendo in evidenza le contraddizioni di un sistema che è manovrato da pochi. Come Moore (ma con le opportune distinzioni), la Guzzanti scende in campo, prende il microfono in mano, e, mettendo in scena se stessa, si apposta per intervistare politici e giornalisti, nel tentativo di fare chiarezza e allo stesso tempo di denunciare l’oscurantismo che l’ha vista protagonista.

Il 2005 è stato un anno particolarmente fiorente nella produzione italiana di film dal vero – al di là del film della Guzzanti che ha caratterizzato la seconda parte dell’anno. Film di grande interesse, meno fortunati in sala, sono stati comunque importanti come il film di Stefano Rulli, Un silenzio particolare, un documentario molto intenso che racconta di Matteo, un ragazzo autistico di 24 anni, e del rapporto con i suoi genitori. Anche qui il regista è parte in causa nel film in quanto padre del ragazzo e coinvolto sentimentalmente nel doloroso compito di voler raccontare e di vedersi coprotagonista del documentario.
Di stampo molto diverso La storia di un cammello che piange di Luigi Falorni e Byambasuren Davaa, realizzato nel 2003 ma uscito in Italia solo nel 2005, un film che coglie l’essenza della vita nell’aspra natura mongola dove anche gli animali hanno, a volte, comportamenti umanamente incomprensibili.
Tanti gli argomenti trattati nei documentari realizzati recentemente. Spesso è il cinema protagonista di indagini e ricerche documentarie, come per esempio, Figli di Roma città aperta di Laura Muscardin, che ci riporta indietro negli anni attraverso le testimonianze di chi vide nascere sotto i propri occhi il capolavoro di Rossellini. Tra i vari soggetti cinematografici presi in esame si va da Angelo Rizzoli a Claudia Cardinale, da Elio Petri a Sergio Amidei, dalle lamentale di Giancarlo Santi, regista che fu collaboratore di Sergio Leone, in Giancarlo Santi: facevo er cinema di Anton Giulio Mancino, alla voce di Pasolini in un lavoro molto ricercato di Mario Sesti che si pone l’obiettivo di coniugare i testi di Pasolini con immagini che i testi suggeriscono.
Un personaggio politico come Nichi Vendola è stato protagonista di due lavori: Nichi di Gianluca Arcopinto che coglie più la sua passione politica e C’è un posto in Italia di Corso Salani, che rintraccia il lato umano del politico, il suo stare in mezzo alla gente.
Le questioni politiche legate al passato e al terrorismo emergono in Fuori fuoco di Federico Greco e Mazzino Montinari in cui alcuni protagonisti degli anni caldi della rivolta armata si confrontano con l’interpretazione che Bellocchio fa in Buongiorno notte di quel periodo e di quelle scelte. La politica e i legami con la mafia sono al centro di In un altro paese di Marco Turco, che analizza i risultati del maxi processo palermitano, mentre La mafia bianca di Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini esamina i rapporti tra mafia e sanità in Sicilia dove, con il coinvolgimento di medici senza scrupoli e l’autorizzazione dei boss mafiosi, sono state affossate le strutture pubbliche. La realtà a volte rende attuali indagini compiute anni prima come è capitato per Il fantasma di Corleone di Marco Amenta, documentario sulla latitanza di Bernardo Provenzano uscito in modo del tutto casuale in concomitanza con il suo arresto.

Non mancano i film di denuncia sul mondo del lavoro come L’anno di Rodolfo di Daniel Ruffino e Federico Tonozzi, incentrato sui problemi legati alla cassa integrazione, o come Non si deve morire per vivere di Daniele Gaglianone, che racconta di alcuni operai ammalatisi in fabbrica, tema trattato anche in Produrre Morire Consumare di Pippo Mezzapesa; o documentari sulla condizione dell’infanzia in alcune comunità dimenticate (Triciclo di Domenico Martoccia e Francesco La Cava), sull’infanzia difficile a Nairobi alla quale un progetto teatrale del regista Marco Baliani offre nuove opportunità (Pinocchio nero di Angelo Loy), sulla povertà nella Federazione Russa (31mq di Inka Slys), sull’immigrazione e l’integrazione in Italia (Via dell’Esquilino di Daniele Di Biasio), sulla condizione carceraria di alcuni luoghi di detenzione (Balordi di Mirjiam Kubescha), sull’infermità mentale che ancora oggi “fa paura” (Reparto 14 di Neri, Giovanardi, Dicorato e Quando capita di perdersi di Sergio Basso).

Per molti documentari c’è ancora l’aspirazione di raggiungere la sala cinematografica, mentre i maggiori risultati economici in questo momento arrivano dalla vendita in libreria o in edicola, spesso con un libro di approfondimento allegato, come Quando c’era Silvio di Enrico Deaglio e Roberto Cremagnani, la stessa Guzzanti, i documentari usciti con Feltrinelli o Fandango, il citato La mafia è bianca, Forza Italia di Roberto Faenza, un vecchio lavoro di 30 anni fa uscito ora in libreria con Rizzoli. Operazioni culturali, ma anche commerciali: ogni casa editrice ha notato infatti l’interesse nei confronti del documentario e sta sfruttando il momento, costituendo nuove linee editoriali volte alla multimedialità. Pensiamo anche a Minimum Fax che ha pubblicato una serie di dvd sugli scrittori newyorkesi, dando la possibilità a un giovane autore Giorgio Carella, insieme a Cult Network, di realizzare la serie.
Per rafforzare la vita e sostenere il documentario da alcuni anni esiste anche l’associazione Doc.it, associazione di categoria che si batte perché vengano riconosciuti dei finanziamenti anche ai documentari e ogni anni fa il punto della situazione sul documentario, cercando di creare contatti tra gli autori italiani e i possibili compratori, soprattutto esteri.

L’attenzione nei confronti del documentario emerge anche nelle manifestazioni che consacrano spazio al genere: il festival di Bellaria si è trasformato in un festival dedicato al documentario (Anteprimadoc), a Milano il festival Filmmaker da anni lavora sul documentario, a Firenze il Festival dei Popoli che vanta una lunga tradizione nella valorizzazione del genere giunge quest’anno alla 49ª edizione, all’ultimo festival di Torino i lavori italiani più interessanti erano documentari.
Alla curiosità e all’interesse nei confronti del documentario che è presente negli spettatori e nei “nuovi lettori” mi sembra non corrisponda un relativo interesse della critica, in particolar modo cartacea. Sono nati diversi siti internet, dove oltre alle informazioni su proiezioni e presentazioni a volte si trovano recensioni e spazi per dibattiti. Un documentario dibattuto è stato, per esempio, Indistruttibile di Michele Citoni, indagine su un paese piemontese in cui la maggior parte della popolazione è ammalata a causa della presenza della fabbrica di Eternit, documentario al quale veniva rimproverato di non utilizzare materiale di repertorio, mentre invece il documentario è riuscito a dosare informazioni precise a racconti personali toccanti.
E’ giusto che un documentario non sia solo oggetto di mera informazione ma che appassioni, che coinvolga e che emozioni, raccontando una storia, approfondendola, come avviene per la fiction. E’ il caso per esempio di Tra due terre di Michele Carrillo (vincitore di una menzione al Festival dei Popoli) che racconta di una famiglia di origini italiane, che vuole lasciare l’Argentina in seguito alla tragica crisi economica che ha travolto il paese per andare in Italia, con tutti i problemi che questo comporta, soprattutto per le giovani figlie. Tantissimi sono stati i documentari sull’Argentina negli ultimi anni, ma questo film riesce, partendo da una situazione personale privata, a dare un quadro della disperazione in cui tanti si sono trovati negli ultimi tempi.
Nei documentari citati di recente realizzazione troviamo un ventaglio molto sfaccettato di tematiche trattate che ci restituiscono una realtà complessa e ricca di spunti di riflessione che non va sottovalutata anche dal punto di vista critico.


di Redazione
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