Sulla critica del gusto. Una risposta.

Dopo l'intervento di Piero Spila "Contro la critica e i critici del gusto", pubblicato su Cinecriticaweb solo un paio di giorni fa, prende la parola Giulio Sangiorgio, direttore di Film Tv, settimanale citato proprio da Spila. La sua risposta, inviata via mail, è in forma di lettera aperta a Spila, e come tale la pubblichiamo.

Sulla critica del gusto. Una risposta.

Caro Piero,

felice che tu abbia nominato Film Tv e me nel tuo articolo Contro la critica e i critici del gusto, sebbene come esempio di una deriva che non ami. Le questioni che poni me le pongo dal primo editoriale da direttore. E in quell’editoriale c’erano già le coordinate per capire l’idea di critica alla base del progetto della mia rivista.

Ti rispondo in breve e in fretta, a causa del poco tempo disponibile, promettendo di ritornare sulla questione con un articolo su Film Tv, nella rubrica Sopravvivenza critica. Film Tv, in fin dei conti, è già la mia risposta. Evito di evocare filosofi e studiosi di estetica. Cerco di essere concreto. Prima di essere un critico, sono un lettore di critica. Quello che voglio è che la critica mi faccia ragionare, metta alla prova la mia prospettiva sulle cose, mi insegni a guardare diversamente. Leggo per imparare, non per ricevere conferme. Quel che mi importa, prima di ogni altra cosa, è la qualità del ragionamento che mi si propone. L’ebbrezza di scoprire una via sconosciuta per il pensiero. Non il concordare o l’essere in disaccordo. Perché il problema che tu indichi come dittatura del gusto, per me si chiama abbandono del pensiero. Della competenza. Dell’autorevolezza dell’argomentazione. Della cura dedicata alla ricerca. Della fatica dell’interrogare l’opera. Le persone che ho coinvolto nel giornale che dirigo, a mio avviso, quando scrivono di un film fanno questo, o è questo che vorrei facessero: farlo ripensare. Per questo le ho scelte. Perché è questo che manca, per me, oggi, alla critica. Abbiamo visto troppo cinema, troppe avanguardie, troppi sdoganamenti, troppi terremoti del gusto per credere che due o tre categorie basate sulla beltà della sceneggiatura, l’armonia delle parti, l’innovazione del linguaggio, possano essere le sole coordinate con cui emettere un giudizio. Ci sono troppe immagini oggi, per pensare al cinema con strumenti tanto antichi. Non è un caso che la maggior parte della critica italiana, mi si perdoni, non sia in grado di fare distinguo tra i film della commedia contemporanea, di scrivere con cognizione di causa di film come Ride o Spira mirabilis, di inquadrare registi come Luca Ferri o capire il cinema del reale, di restituire le criticità di registi come Gianfranco Rosi o Roberto Minervini, amati e pochissimo discussi. Ci sono registi che fanno lavori critici, e che sono esenti del lavoro della critica sui loro film. Importa poco se i loro film siano belli o brutti. Ma chi li fa pensare? E poi, Piero, tu quoque: tra i film scelti da te per il nostro sondaggio sui migliori film della storia del cinema italiano c’era A Bigger Splash. Non è forse una chiara (e per me interessantissima) indicazione di gusto? Non è forse quello un film su cui si è discusso pochissimo, tra la pioggia ottusa di assensi e dissensi? Il problema non sono i voti, le espressioni di sé, le rivendicazioni di gusto. Ma la carenza di dialogo. Credo che per essere un buon critico si debba essere coscienti del fatto che, anche quando aggressivo, il pensiero critico è un pensiero debole. Un’ipotesi. Una possibilità. Su Film Tv, un giornale che nasce per essere una guida televisiva, e deve parlare a decine di migliaia di persone, scrivono critici ideologici e critici del gusto, saggi e sconsiderati, misurati e a misura del proprio ego, sociologi e antisociali, apocalittici e integrati. Scelgo i collaboratori perché negli articoli si leggano i loro ragionamenti. Coi loro limiti. Li scelgo perché credo siano interessanti. Una rivista che dà solo 8 al film di Lanthimos non mi dice nulla. Esistono opere problematiche. Che devono dividere. E se voglio guidare un lettore, è questo che devo restituirgli. Non cerco di unire tutti gli sguardi sotto un pensiero comune. Per evitare di perpetuare il solito sistema di tristi parrocchie chiuse su se stesse, che si leggono solo tra loro, si commentano solo tra loro, cerco di fare una rivista che faccia incontrare e scontrare sguardi lontani. Sennò esistono solo piccoli pensieri di critici, e non un pensiero della critica in movimento. Nel mio piccolo cerco di dare una direzione forte a pensieri deboli che ammiro. Di coordinarli. Una rivista non è un contenitore di articoli. C’è un progetto unitario, dietro, di cui sono responsabile. Il che significa che quando scelgo un collaboratore per una recensione o accetto una sua proposta, è perché so cosa aspettarmi da lui, so cosa sto dando al lettore, e so, nel caso, se è necessario che oltre a quella prospettiva ce ne sia un’altra differente. Un lettore può essere d’accordo con il voto 3 a Storia senza nome di Roberto Andò e al contempo seguire e farsi stupire dal ragionamento di una recensione con voto 7. Un punto di vista espresso con sicumera, per me merita di essere messo in crisi, sempre e comunque. Il tabellino dei voti è solo uno strumento. L’eterogeneità degli sguardi è una risorsa. Un film come Il sacrificio del cervo sacro crea poli opposti, ha una media tra il 5 e il 6, il lettore la legge, verifica la divisività, capisce che il film è critico. Un film che, di fronte a tutti questi sguardi, presenta una media del 4 evidentemente sarà di scarso interesse. E così via. Non trovo che la mia rivista si sottometta alla dittatura del gusto. Tutt’altro. Spero ogni giorno che sia un laboratorio di confronto per i tanti IO, IO, IO di cui dici, che faccia memoria e tramandi un canone (comunque in movimento) capace di educare alla comprensione del cinema, che lavori contro la sicumera dell’incompetenza, che metta in gioco e in contrasto sguardi autorevoli, che testimoni la passione e la fatica del farla, la critica, sapendo che il suo pensiero deve essere una proposta, e non una risposta. Per me, quantomeno.

Con grande stima,
Giulio


di Giulio Sangiorgio
Condividi