Wonder: White Bird

La recensione di Wonder: White Bird, di Marc Forster, a cura di Gaia Serena Simionati.

Che le intenzioni siano buone, nessuno lo mette in dubbio. Esse a volte però non bastano. Wonder: White Bird nasce come costola adamitica a traino, ovvero fittizio spin off di Wonder, il film di Stephen Chbosky del 2017, che di meraviglioso ha avuto soprattutto l’incasso (ben 12 milioni solo in Italia).

Ciò detto, il “Wonder due, la vendetta”, ovvero Wonder: White Bird, spiazza e lascia tra l’attonito, l’incredulo e il commosso. Se in Wonder la sindrome di Treacher-Collins incombeva sullo sfortunato protagonista, Uggie (Jacob Tremblay), qui è uno dei “cattivi” bulli del primo film a sentirsi infelice.

Metti un bullo al liceo. Metti la nonna che ti racconta una storia. Metti che al giorno d’oggi nessuno ascolta più le nonne. E tantomeno le storie. Invece in Wonder: White Bird il bullo Julian è stato espulso dalla scuola. Cerca di ambientarsi nel nuovo istituto. La nonna telepatica, lo sorprende, sentendolo in difficoltà, gli fa visita da Parigi e gli racconta la storia della sua infanzia. 

Narra di come lei, giovane ragazza ebrea nella Francia occupata dai nazisti, fu nascosta e protetta da un compagno di classe. Di come la sensibilità e il coraggio di questo ragazzo le abbiano salvato la vita che, a discapito della legge di Murphy, si chiama Julian, proprio come il nipote. Narra di quanto può essere forte il potere della gentilezza, tale da cambiare il mondo.

Il pregio del film, tolta la prima parte e l’improbabile inizio, è quello di essere a tratti poetico e commovente, uccellino escluso – sia chiaro a tutti. Nella seconda parte più storica, il tutto acquista più spessore, dialogando anche con le nuove generazioni per provare a capire la sofferenza vissuta dagli ebrei, in un racconto nitido e imparziale che non propende necessariamente da un un’unica parte. Ottima, come sempre, la sensibilità interpretativa di Helen Mirren. I difetti sono, oltre al già citato titolo, le costruzioni fantasmagoriche, anche naturalistiche, che a volte trasudano il buono per forza, scadendo nel ridicolo. 


di Gaia Serena Simionati
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