Viaggio in Giappone
La recensione di Viaggio in Giappone, di Elise Girard, a cura di Massimiliano Martiradonna.
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Un occidentale va in Giappone, arriva in albergo e viene accolto dallo staff con una sequela di inchini; l’occidentale, confuso, si inchina a sua volta per ogni inchino ricevuto, portando la situazione al parossismo. Questa è la gag degli inchini, un topos della comicità facile, usata e abusata per decenni al cinema, in tv, nelle barzellette. Per dire, la stessa gag è in Sabato, Domenica e Venerdì, nell’episodio diretto da Sergio Martino, con Lino Banfi ad incontrare Edwige Fenech sotto le vesti di un improbabile ingegnere giapponese.
Si potrebbe pensare che la gag degli inchini abbia abbondantemente fatto il suo corso, che sia definitivamente relegata al passato, invece eccola lì, spavalda, maramalda, nell’incipit di questo Viaggio in Giappone. Che è una commedia d’autore, dirige Elise Girard, mica una commedia sexy italiana, è stato presentato alle Giornate degli Autori a Venezia, ed è interpretato da Isabelle Huppert. Racconta la storia di una scrittrice francese, alle prese con i dolorosi postumi di un lutto, che si reca colà per presentare la traduzione del suo primo romanzo, ed ha l’occasione di conoscere luoghi meravigliosi, persone straordinarie, sensazioni inusuali, come fosse su un altro pianeta. Come fosse un’aliena in un mondo alieno. La dimensione dell’alienitudine diventa onirica quando cominciano le apparizioni fantasmatiche del marito defunto. Sono apparizioni non spaventevoli, bensì consolatorie. Sembrano sedute terapeutiche, e anche attraverso esse la scrittrice comincia ad elaborare il suo lutto, a guardare al futuro con altri occhi. Nel suo campo visivo entra allora l’editore giapponese, che è bello ma triste solitario y final anche lui, e allora i due intrecciano le solitudini come esse fossero le ragioni di un nuovo amore, che sembra interrompersi sul più bello, perché lei deve far ritorno in Francia, ma forse non si interrompe e resta sospeso in un inizio che è tutto.
La via di Viaggio in Giappone è lastricata di buone intenzioni, ma Girard sceglie reiteratamente, come detto, la strada improvvida dello stereotipo. Persino i meravigliosi luoghi nipponici, attraverso i quali Huppert fluttua priva di consistenza, sembrano cartoline tratte da un catalogo della Japan Film Commission. Il giudizio non può che essere negativo, specie se confrontato ad altri film che hanno usato la texture giapponese in funzione vivificatoria e non obituaria, ma anche a romanzi, pure francesi, che dal confronto di pregiudizi hanno fatto scaturire la magia viva di un incontro romantico (Stupore e Tremori di Amelie Nothomb, pure trasposto al cinema). Curioso che arrivi in sala in contemporanea con i Perfect Days del viaggio in Giappone di Wenders, il confronto potrebbe essere inclemente.
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di Massimiliano Martiradonna