Vai e vivrai
Con Vai e vivrai, il regista Radu Mihaileanu riprende il tema dell’identità, individuale e collettiva, dell’essere o non essere, dello scambio, già sviluppato nel precedente Train de vie.
Questa volta, assistiamo all’odissea del piccolo Schlomo, un non ebreo, che, verso la metà degli anni ottanta, è spinto dalla madre cristiana a fuggire dall’Etiopia in Israele e a fingersi orfano ed ebreo, pur di salvarsi la vita.
In Israele, Schlomo sarà accolto da una nuova famiglia e lotterà, spaesato, per trovare un’identità che gli corrisponda: all’inizio, la paura più grande del ragazzino sarà di diventare come tutti quelli che lo circondano e di non essere più riconosciuto dalla madre; successivamente, invece, comincerà a sentirsi, lui stesso, ebreo, pur non essendolo.
Tutta la prima parte della pellicola, in cui partecipiamo agli sforzi del piccolo e dei suoi genitori adottivi di trovare un compromesso tra integrazione e salvaguardia delle proprie radici è toccante e coinvolgente: molto bella è la sequenza della disputa, in cui Schlomo, doppiamente discriminato, perché nero e per il segreto (il non essere ebreo) che nasconde, difende con forza se stesso e la sua gente, dimostrando che Adamo non era né bianco né nero.
Nella seconda parte del film, si avverte una sorta di accelerazione del ritmo e di cambio di registro: dai toni da racconto di formazione, riuscito e avvincente, si passa ad occuparsi della Storia, con la S maiuscola: il conflitto israeliano-palestinese, Arafat e Rabin, la morte di quest’ultimo, i successivi conflitti.
A questo punto, il film diventa, forse, troppo ambizioso e, per raccontare la vita tormentata di un’intera nazione, si finisce, talora, per perdere di vista il protagonista iniziale.
Ciò detto, Vai e vivrai, resta, comunque, un’opera ispirata, delicata, commovente, ironica, mai scontata, come la personalità del simpatico “impostore” che ne è al centro.
di Mariella Cruciani