Unfitting
La recensione di Unfitting, di Giovanna Mezzogiorno, a cura di Ignazio Senatore.

Nove minuti. Bastano per stracciare il cuore e illuminare la mente. Nove minuti girati con grazia, che mettono in moto un vagone di riflessioni. Merito di Giovanna Mezzogiorno, all’esordio dietro la macchina da presa, e del suo toccante Unfitting. La vicenda è nota. L’attrice romana, figlia dell’indimenticato Vittorio, dopo la gravidanza gemellare, acquistò una ventina di chili, e da lì il linciaggio mediatico. Il mondo del cinema trovandola poi, “inadeguata”, non le ha offerto più ruoli.
Con coraggio, Mezzogiorno racconta le umiliazioni subite e affida a una radiosa Carolina Crescentini, suo alter ego, il ruolo di un’attrice che, sgomenta, in apertura si sente dire da una costumista che, non avendo la terza, deve rifarsi il seno. Un attimo dopo, Crescentini è al trucco e la regista (Ambra Angiolini), infastidita, segnala a chi deve riprenderla, che ha il doppio mento. Per non mostrare quella vergognosa imperfezione, l’operatore le chiede di tenere alto il viso. Nell’ultima scena, Crescentini è di fronte al produttore (Fabio Volo) che le comunica che non la sceglierà; quando lei gli ricorda che è brava, le risponde, che non sa che farsene delle sue qualità.
Un corto asciutto, intervallato da alcune scene in bianco e nero, che apre a infinite discussioni. In realtà, già Laura Mulvey, a partire dagli anni Settanta, sull’onda del movimento femminista, aveva dato voce alla “Feminist Film Theory“. Secondo la studiosa, nei film la donna è storicamente, confinata ai margini del circuito della parola, e mostrata, generalmente, come un oggetto che ha solo il compito di nutrire il godimento maschile. Da ciò ne discende che, se un’attrice non ha più quell’appeal, è automaticamente, scartata da registi e produttori.
Mezzogiorno lancia un grido d’allarme e denuncia un sistema che non lascia scampo a chi, pur essendo talentuosa, perché appesantita, è centro di beceri pettegolezzi e oggetto, anche da parte delle donne, di derisione e disapprovazione. L’unico personaggio che mostra un pizzico d’umanità è un giovane attore (Massimiliano Caiazzo). Ma la registanon punta il dito soltanto contro la “fabbrica dei sogni”, fa anche un discorso più ampio che riguarda, in generale, una società all’ossessiva ricerca della perfezione fisica, che non perdona a nessuno cedimenti e abbandoni. Nel cast, Marco Bonini, nei panni di un addetto stampa e Moira Mazzantini, in quelli dell’agente di Crescentini. Sui titoli di coda il brano “Il paradiso dei bugiardi” di Tiziano Ferro.
di Ignazio Senatore