Un’altra giovinezza (Youth Without Youth)
Il ritorno di Francis Ford Coppola era atteso ormai da molti anni. Il regista italoamericano è certamente uno dei grandi “fabbricatori” di film degli ultimi trenta anni. Il suo sguardo è sempre complesso, così come il suo cinema è capace di veicolare contenuti significativi attraverso uno stile fruibile anche dal grande pubblico. Il suo ultimo lavoro segna un passaggio importante nella sua carriera, poiché l’autore de Il Padrino si confronta con tematiche di altissimo spessore, al punto che Youth Without Youth (Un’altra giovinezza) sembra più un articolato saggio filosofico che un semplice prodotto cinematografico. Spunto per questa sua riflessione visionaria è il mondo intellettuale di Mircea Eliade, scrittore, storico, studioso delle religioni, discusso e contraddittorio, che ha fornito al cineasta di Detroit materia veramente “incandescente” sotto il profilo culturale. Il senso della vita e della morte, l’assurdità delle convenzioni umane, l’abbattimento della barriera dello spazio-tempo, i sentimenti amorosi e la passione professionale, il fluire della storia e la sua atroce inutilità. Tutto ciò è sostanza filosofica densissima ma anche pericolosa, a causa di talune derive ideologiche che potrebbe innescare. Coppola però è autore di assoluta intelligenza, in grado di gestire simili argomenti attraverso il filtro del linguaggio cinematografico. Così, mentre il protagonista della storia è alla ricerca di quel protolinguaggio che potrebbe svelare l’inizio della coscienza umana, Coppola articola un discorso linguistico estremamente complesso all’interno del quale l’avventura senza tempo del personaggio principale diviene percorso simbolico dell’umanità. Dominic Matei cerca probabilmente l’inizio di tutto, e viaggia, forse all’interno di un sogno, in un territorio che produce straniamento, perdita di senso. Si tratta di uno spaesamento lucido che genera un’ossessione che si concluderà esattamente lì dove questa ossessione è incominciata. Tim Roth, nel ruolo di Dominic Matei, è un autentico gigante della recitazione e porta sopra le proprie spalle il peso di una responsabilità artistica non indifferente. Il pericolo di questi ruoli è quello di sforare nel ridicolo e nel ridondante. Ma l’accoppiata Roth-Coppola riesce perfettamente a dosare linguaggio, espressività, poesia. La vicenda di Matei è certamente angosciosa e tragica, ed è una avventura che rispecchia lo status incerto di tutta l’umanità, alla disperata ricerca di un senso che probabilmente non esiste.
*Per concessione di Cultframe – Arti Visive e Comunicazione (www.cultframe.com)
di Maurizio G. De Bonis