Una volta nella vita

Film imperfetto ma bello, racconta come pochi il disagio della banlieue parigina e delle difficoltà di convivere di varie etnie dissimili e contrastanti per cultura, modo di raffrontarsi col mondo e con la religione.
La vicenda si svolge quasi completamente all’interno di un Liceo di Créteil, dedicato a Léon Blum – uomo di sinistra che ha cambiato completamente la politica francese col rifiuto all’adesione dei socialisti alla Terza Internazionale comunista nel 1920 e per essere stato il Presidente del Consiglio del Fronte Popolare – e posto nella periferia sud est della capitale francese. Si racconta di una seconda classe delle Superiori frequentata da sedicenni emarginati dalla società per causa propria e delle istituzioni, di una vita senza prospettive in cui l’unica certezza è l’incertezza.

Nel 2009 una prima classe aveva partecipato e vinto il Concorso nazionale della resistenza e della deportazione dimostrando che non esistono ragazzi bravi o cattivi, che il gruppo trascina anche i meno dotati, che nel caso vengano forniti input è possibile anche per gli emarginati di integrarsi nel tessuto sociale.
Una professoressa contro tutti, una donna che combatte coi colleghi, coi ragazzi, con se stessa per riuscire a portare avanti un sogno, da molti considerato un’utopia, che sublima la sua voglia di essere un’insegnante, non solo di storia ma anche di vita.

La bravura di Marie-Castille Mention-Schaar sta nell’essere riuscita a creare un ambiente in cui gli interpreti – tra i ragazzi solo sei sono attori professionisti – potessero condividere i temi della sceneggiatura come fossero vissuti nella loro realtà. Girata in maniera cronologica, per permettere un’ulteriore maturazione di tutto il cast, è un’opera che non lascia indifferenti perché riesce a fare partecipi di una realtà poco conosciuta, la banlieue parigina, dalla grande valenza emotiva.

Il Preside del Liceo, uomo legato alle tradizioni, che giudica senza conoscere, osteggia la docente perché teme l’esplosione di una realtà in cui convivono con difficoltà ben 29 etnie differenti; dal suo punto di vista, fa la cosa giusta perché una situazione differente forse sarebbe per lui impossibile da gestire. L’inizio è già la firma del film: una ragazza col foulard in capo, appena diplomata e che vorrebbe ritirare l’attestato, non viene accontentata perché si rifiuta di entrare a capo scoperto. Si viene a sapere che nelle scuole francesi le ragazze arabe frequentano le lezioni senza un segnale che identifichi il loro credo religioso. Ma anche a una ragazza cattolica viene imposto di nascondere una collanina col crocifisso. Proprio nella laicità completa è la forza di una scuola che deve affrontare situazioni complesse sempre al limite.

Siamo in presenza di un film non certo innovativo nella struttura narrativa.  Merita, però, rispetto ed attenzione per come è riuscito a raccontare, col giusto distacco, un mondo difficile in cui il sospetto può fare marchiare per tutta la vita persone che hanno l’unica colpa di appartenere a religioni non gradite.

Il lavoro di sceneggiatura ha trasformato in varie parti il libro scritto da Ahmed Dramé – coautore con la regista dello script, protagonista maschile e personaggio autobiografico di riferimento – in collaborazione con Sophie Blandinières creando un buon lavoro cinematografico, inglobando varie caratteristiche di allievi in un solo personaggio, cancellando la parte in cui sono raccontati i rapporti con le famiglie. Così facendo, però, si è impoverito il costrutto sociale ma si è creata una struttura più agile.

La scelta di eliminare quasi tutte le scene girate al di fuori della scuola – sono oltre trenta minuti sacrificati in fase di montaggio – funziona, dando maggiore coesione a questo microcosmo che chiede e ottiene i suoi spazi vitali. Basato su questa favola dei nostri giorni in cui i buoni possono anche vincere nonostante siano osteggiati dagli ottusi portatori della tradizione, Una volta nella vita racconta in maniera accettabile un tema che, forse, avrebbe meritato una regia migliore.

L’opera è molto aiutata dalla prova corale dei giovani interpreti che riescono a creare una struttura simbiotica, fino quando a loro è concessa una certa libertà interpretativa, un minimo di improvvisazione. Crolla nella meno interessante e assolutamente non riuscita repentina trasformazione dei ragazzi da persone indesiderabili a studenti modello: poco giustificata da quanto accade sullo schermo.

Ahmed Dramé, oltreché interprete molto efficace, è anche un personaggio simbolo del desiderio di non accettare senza combattere un destino che pare poco generoso. Nella realtà aveva chiesto di partecipare a uno stage di cinema ma la scuola aveva rifiutato. Ha seguito vari corsi di improvvisazione, ha debuttato non ancora diciottenne nel 2011 su France 2, per affrontare l’anno successivo il cinema con Les Petits Princes di Vianney Lebasque. Con un minimo d’incoscienza, scrisse 60 pagine di quello che sarebbe stata la base del film, proponendola con scarso successo a vari produttori per poi scriverla assieme alla regista che ha voluto anche produrre il film.
Basilare per la trasformazione umana degli studenti è stata Madame Anglès decisa ad affrontare con vigore una sfida anche con lei stessa dopo la morte della madre. Dura, umana, a volte discutibile ma sempre onesta. A interpretarla, nel personaggio ribattezzato professoressa Anne Anglès, è la brava Ariane Ascaride, molto attenta nel rendere con naturalezza un personaggio difficile e non sempre scritto in maniera perfetta.

TRAMA

Il Liceo Léon Blum di Créteil, città nella banlieue sud-est di Parigi, è una scuola in cui convivono con difficoltà etnie e religioni che creano conflitti sociali. Professoressa in crisi per la morte della madre propone alla sua classe più difficile un lavoro di gruppo basato sullo studio della Shoah per partecipare a un concorso nazionale di storia dedicato alla Resistenza e alla Deportazione. Dapprima molta diffidenza, poi la creazione di un tessuto sociale che accomuna all’interno della classe cattolici, ebrei, mussulmani che iniziano a dialogare ed a capirsi.


di Redazione
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