Un valzer tra gli scaffali
Un valzer tra gli scaffali, anche Film della Critica SNCCI, è una favola romantica e assieme neorealistica, una riflessione sulle insidie della vita.

Un valzer tra gli scaffali, anche Film della Critica SNCCI, è una favola romantica e assieme neorealistica, una sentita riflessione sulle insidie della solitudine e sulla forza salvifica dei sentimenti.
Il mondo fuori è una distesa piatta, fredda e desolante, spesso innevata, con il rumore monotono dei camion che percorrono l’autostrada di giorno e di notte. Siamo nei dintorni di Lipsia e la DDR è un fantasma della memoria, un malinconico sogno dissolto. Accanto al grande supermercato dove lavora Christian, solo un immenso parcheggio che la sera si svuota completamente e una fermata del bus dove il ragazzo aspetta – dopo ogni monotona giornata di lavoro – di far ritorno al suo piccolo appartamento, trascurato e male illuminato.
Il mondo dentro è una dimensione parallela dove la luce del sole non arriva mai e ci sono soltanto altissimi scaffali e corridoi infiniti, e merci da spostare, sollevare, riordinare. Quando si fa il turno di notte, nonostante qualche anima buona pronta a far risuonare un valzer nell’impianto stereo, la vita fuori da questo non-luogo spersonalizzante sembra non esistere più, ridotta a un’ombra confusa, a un’idea incerta.
Tuttavia Christian, mite e taciturno, non si lamenta: è l’ultimo arrivato, vuole lasciarsi alle spalle un passato complicato ed è disposto a lavorare sodo. Bruno, ex camionista e ora mulettista, sarà il mentore e consigliere che con fare un po’ burbero ma in fondo paterno lo guiderà sul lavoro e perfino nell’amore. Perché l’amore arriverà con il volto della graziosa Marion, spiritosa e irriverente commessa del reparto dolciumi forse tormentata da un marito violento, che pian piano si lascerà avvicinare dal timido Christian.
Il regista Thomas Stuber ci parla anzitutto di alienazione e solitudine, costruendo uno spazio scenico labirintico e opprimente che, come un universo autoreferenziale e impenetrabile, respinge costantemente fuori il mondo. Una scelta estetica che rimarca un’analisi sociologica e anche psicologica, e che serve a fotografare efficacemente – con umorismo e disincanto – quelle storture del presente capitalistico nelle quali viviamo così immersi da non percepirle più come tali. Ecco allora che non è più il supermercato, il luogo di lavoro, a essere una parte – circoscritta, contingente – della vita e del mondo, ma all’opposto è l’esterno ad essere sentito quasi come appendice dell’interno, tanto che ci si preoccupa di chi non ha famiglia perché è “tutto solo là fuori”. Il supermercato stesso si fa metafora perfetta delle contraddizioni del capitalismo, dove l’abbondanza e gli sprechi si affiancano alla miseria e al bisogno. Sebbene infatti i clienti non facciano che comprare e comprare, a fine giornata tantissima merce integra e invenduta viene gettata nei cassonetti, dai quali – in barba al regolamento – gli stessi lavoranti andranno a recuperarla.
L’amore e il desiderio, che sono speranza e fantasticheria che fa entrare il mare in una stanzetta opprimente e mescola il rumore delle onde al ronzio del muletto che solleva pacchi, sono l’unica forza positiva da opporre a questo stato di cose. Ma l’empatia è rara e i sentimenti sono fragili: vanno protetti, vogliono fiducia e perseveranza, mentre Christian – che investe tutto nell’unico raggio di sole che scalda il suo presente triste – rischia di perdere se stesso e la propria strada nella frustrazione e nell’impazienza.
Favola romantica e assieme neorealistica, Un valzer tra gli scaffali descrive insomma con attenzione minimalista un certo microcosmo che segue le sue regole precise e tuttavia si fa esempio ed emblema di una realtà sociale, economica e culturale molto più ampia. Al contempo restituisce, con tatto e delicatezza ma senza edulcorazioni, una sentita riflessione sulle insidie della solitudine e sulla forza salvifica dei sentimenti.
di Arianna Pagliara