Un’ombra sulla verità

Ignazio Senatore scrive del film di Philippe Le Guay.

Un'ombra sulla verità (Philippe Le Guay)

Non era facile mettere al centro della narrazione un personaggio come Jacques Fonzic (François Cluzet), professore, radiato dalla scuola perché negazionista, convinto che gli ebrei morti nei campi di concentramento fossero 80 mila (e non 6 milioni) e che i sopravvissuti della Shoah avessero diffuso spesso notizie false. Senza un alloggio, compra la cantina di Simon (Jérémie Renier), architetto parigino, ebreo. Quando quest’ultimo scopre che Fonzic ha trasformato la cantina nella propria dimora e che propaganda in rete le sue idee, contatta un paio di avvocati e prova a convincere gli altri condomini del palazzo a firmare una petizione per sbatterlo fuori.

Fonzic è un osso duro e la mente di Simon si sfalda, sempre più. Nervoso e irritabile, entra in rotta di collisione con Hélène (Bérénice Bejo) la moglie medico, e con Justine (Victoria Eber), la figlia adolescente. «Lui non fa niente di male, è solo. Si fa solo delle domande, quelle che disturbano, che vengono censurate per tranquillizzare la gente, che interferiscono con la verità ufficiale. Cosa vi fa paura, la verità?» urla Justine a Simon, a muso duro, riferendosi a Fonzic.

A Philippe Le Guay, talentuoso regista e sceneggiatore parigino (Le donne del 6° piano, Molière in bicicletta, Florida) non interessa rileggere la Storia, ma mettere in campo due personaggi, l’uno specchio dell’altro. Seppure agli antipodi, entrambi testardi e intolleranti, saranno trascinati in un gioco perverso e vestiranno, a turno, i panni del perseguitato e/o del persecutore. Il film si tinge di giallo in un crescendo che rende l’atmosfera sempre più claustrofobica e irrespirabile; la cantina, oscura, posta nelle viscere del palazzo, diviene simbolo delle parti buie di chi, senza accettare il confronto, difende a spada tratta le proprie convinzioni.

«Sono stati uccisi dodici milioni di indiani d’America, ma nessuno ne parla» tuona Fonzic, sottolineando come gli orrori della storia non hanno avuto l’identica cassa di risonanza nei media e nelle coscienze dei cittadini. Pessima la traduzione in italiano del titolo originale L’homme de la cave.


di Ignazio Senatore
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