Un mondo a parte
La recensione di Un mondo a parte, di Riccardo Milani, a cura di Gianlorenzo Franzì.
Riccardo Milani si è sempre distinto, come autore, nell’essere sempre in bilico tra uno sguardo politico sulla realtà e un’inclinazione per una leggerezza da commedia di costume, sbilanciandosi da una parte o dall’altra, toccando diversi estremi ma mai con banalità, distinguendosi per garbo e delicatezza di tocco nel restituire i suoi personaggi.
Sono usciti quindi film interessanti come Come Un Gatto in Tangenziale, storia ridanciana con intento sociologico e civile, indagando sul divario tra la nuova intellighenzia italiana (comodamente scomodata da una sinistra italiana asettica) e i nuovi poveri come se si dovesse spiegare Marx al bar la domenica pomeriggio (vedi Comencini e Modugno), o piccoli gioielli come Grazie, Ragazzi, che racconta lo smarrimento ideologico e politico attraverso l’ordine del caso del teatro. E tutto questo è quanto di buono ci sia nello stile di Milani, uno dei pochissimi oggi in Italia a saper fare vero cinema popolare (forse insieme, e non è certo un caso, a Paola Cortellesi, con la quale infatti ha scritto diverse sue cose) capace di raccontare storie anche difficili senza essere banale e senza banalizzare ma solo normalizzando le situazioni.
Un Mondo a Parte, però, sembra incastrarsi e ingolfarsi proprio nel mezzo, senza sapere se andare da una parte o da un’altra: ha i tratti della commedia grossolana, ma poi sembra voler dipingere con eccessiva serietà una situazione profondamente attuale come il disastro dell’istituzione scuola, tornando poi improvvisamente a dipingere con segni fin troppo elementari.
Senza dire che sbaglia ritmo fin dall’inizio, perché si inizia in medias res e si va avanti a scossoni, a ellissi, ma senza che la sceneggiatura riesca a seguirne i singulti con triangolazioni caratteriali adatte. Pesca poi di qua e di là in un immaginario filmico intasato: la varietà dei colori da Io speriamo c he me la cavo, lo scontro nord/sud da Benvenuti al Sud (ma come se fosse un qualsiasi e malriuscito Benvenuti al centro…), l’inclusione e le derive sociali in chiave comica da Tolo Tolo; senza mai raggiungere la pienezza di contenuti di nessuno di loro.
Un Mondo a Parte diventa quindi un mosaico squilibrato e disarmonico, che sembra volersi prendere sul serio ma poi si concede battute sui dialetti per sfociare in un ritratto da product placement spudoratamente da Film Commission: tutte caratteristiche rispettabilissime, ma solo se inserite nel giusto contesto. Senza creare alchimia di coppia, e senza neanche polarizzare il racconto su di sé. Antonio Albanese è sempre un grande professionista anche quando recita con la guida automatica, mentre Virginia Raffaele diventa il simbolo perfetto del film, che sembra prendersi troppo sul serio inseguendo il perfetto equilibrio di altre caratteriste.
di Gianlorenzo Franzì