Un altro ferragosto
La recensione di Un altro ferragosto, di Paolo Virzì, a cura di Gianlorenzo Franzì.
Nel 1994, Paolo Virzì esordiva alla regia con La Bella Vita, diventando subito un caso critico e regalando la notorietà a Sabrina Ferilli; due anni dopo, confermava la sua dimensione autoriale con Ferie d’Agosto. Con echi e suggestioni tra Moretti e Salvatores, Virzì dava forma al suo mondo artistico e inevitabilmente politico con la descrizione lucida e divertita dei due schieramenti, sinistra e destra, Molino e Mazzalupi, visti e declinati come due sensibilità esistenziali.
Un Altro Ferragosto riprende proprio da lì, anzi ritorna lì dopo ventotto anni trascorsi per il regista e per i suoi protagonisti: e se l’abilità di raccontare un paese attraverso un pugno di personaggi è rimasta intatta, tutto quello che c’è intorno è cambiato in meglio (o in peggio, a seconda dei punti di vista). In questo senso, il film è un piccolo miracolo, dove tutti gli ingranaggi girano per il verso giusto.
C’è ovviamente Virzì, su tutto, che torna nella sua comfort zone ma lo fa senza scorciatoie o sconti: la sua capacità di restituire personaggi che dal privato riflettono il pubblico è straordinaria, perché riesce ad infondere una linfa vitale in ognuno di loro rendendoli mai banali, sempre a fuoco, in triangolazioni personali sempre perfette. Dal punto di vista della sceneggiatura poi si gioca facile: i due fratelli (Paolo e Carlo) sono affiancati dal loro compare storico, quel Francesco Bruni anche bravo regista ma impeccabile come autore, e scrivono dialoghi senza una sbavatura. Gli attori fanno il resto: Ferilli riceve il ruolo della vita -troppe poche volte si è colpevolmente trascurata la sua incredibile abilità di fondere cinismi burino ad una incredibile sensibilità umana-, Christian De Sica conferma, dopo il recente e indimenticabile ruolo ne I Limoni D’Inverno, di essere capace di dare un’intensità sconcertante alla faccia nascosta delle piccole mediocrità umane, ricordando il miglior Alberto Sordi; e tutti gli altri (da Laura Morante ad Andrea Carpenzano, da Emanuela Fanelli a Gigio Alberti, fino a Raffaella Lebbroni, Paola Tiziana Cruciani, Vinicio Marchioni) danno vita ad un coro incredibile, affiatato, credibile.
Un Altro Ferragosto si mette a diretto confronto con il suo precedente, allora, anche grazie a laceranti e dolorosi flashback presi direttamente dalle sequenze di Ferie D’Agosto, per creare uno specchio e metterlo davanti a noi. Mostrando come siamo diventati: perché c’è una scena cruciale, mentre il Pierluigi Nardi Masciulli (De Sica) balla ubriaco con Cecilia Sarcoli (Morante), con un dialogo così acuminato da strappare lo schermo. “Com’è profonda, lei”, dice Nardi; “Macché profonda,, sono disperata”, risponde Cecilia.
Populismo ed elitarismo, ignoranza e cultura, storia e negazionismo, sono le facce della stessa medaglia della rappresentazione umana che fanno a gara in disperazione e tristezza, senza scampo. Un passato che serve solo a mostrare che si stava meglio quando si stava peggio, un presente lacerato e senza vie di fuga, su tutto e tutti lo spaesamento politico ed esistenziale. Un Altro Ferragosto si riassume allora nel personaggio incredibile di Silvio Orlando, nel segmento più straziante e commovente del film; e diventa un ritratto serissimo che veste le parole della commedia di costume, un capolavoro (più) tragi(che)comico, illuminato da un senso cocente di delusione che, ingoiata e metabolizzata, non lascia intravedere nessuna luce in fondo al tunnel.
di Gianlorenzo Franzì