Two Mothers

Non che fosse un’impresa facile tradurre in immagini la passione, la sensibilità e l’acume di un’autrice come la britannica Doris Lessing, giustamente insignita del Nobel nel 2007. Nata nel 1909, in oltre 50 anni di prolifica produzione letteraria, ha spaziato senza sosta tra i generi e tra il politico e il personale, sempre visti con gli occhi delle donne, mogli e madri di tutte le età. Non a caso, prima del racconto breve “Le nonne” (scritto nel 2005) che ha ora ispirato il film di Anne Fontaine, la Lessing aveva affrontato già e più ampiamente il tema dell’amore tra persone “mature” (si pensi a “Se gioventù sapesse, 1984) e quello della passione  di donne agée per uomini molto più giovani (in particolare in “Amare, ancora”, 1996). Ci saremmo però aspettati (almeno un po’)  di più da una regista francese che dopo aver esordito con buoni riscontri venti anni fa con la commedia brillante Les histoires d’amour finissent mal… en général (1993) aveva, tra i titoli di una filmografia scarna e abbastanza eclettica, esplorato non senza coraggio temi di scabrosa sessualità (Dry Cleaning, 1997; Nathalie, 2003) fino a cimentarsi di recente con il ritratto di Coco Chanel (Coco avant Chanel, 2009).

Del resto, il film fa delle scelte precise. L’ambientazione negli idilliaci paesaggi marini dell’Australia e quella di girare in lingua inglese rimandano ovviamente a ragioni  produttive (il film infatti batte bandiera franco-australiana), che traguardano un mercato anglofono ben più ampio e forse più ricettivo rispetto a un film dal tema comunque ”scandaloso”.  Di conseguenza, il  ruolo da prime attrici viene affidato a due nomi di richiamo internazionale: l’australiana d’adozione Naomi Watts e Robin Wright, che sono Lil e Roz, le due madri del titolo; come australiani sono anche i due giovani e assai fisicamente prestanti attori Xavier Samuel e James Frecheville, che interpretano Ian e Tom ovvero i rispettivi figli. Il film ripercorre -dai primi flashback dei tempi dell’infanzia sino alle scene finali- le vicende dello strano quartetto concentrandosi in particolare sulla violenta e inesauribile passione amorosa che nasce tra le due donne – amiche e complici sin da bambine, al punto da essere ritenute lesbiche dalla comunità locale (in realtà una è vedova, l’altra è separata) – e il “figlio dell’amica” (in entrambi i casi dei ventenni).

Ma se la scelta del set può risultare coerente con il sottotesto “arcaico” e “mitologico” del racconto, meno credibile appare l’affermazione della  regista secondo cui “non riuscivo a immaginare neanche delle attrici francesi in grado di trasmettere la sensualità dei due personaggi femminili”.

In realtà, quell’ambiguità, sottigliezza,  profondità, e soprattutto quella carica di dissacrante ironia che – anche in quanto caratteristiche europee – sono ben presenti nell’opera della Lessing e pervadono anche il racconto originale, nel film sono pressoché assenti, tanto sul piano della regia che della sceneggiatura (che pure è firmata da uno scrittore di vaglia come l’inglese Christopher Hampton). Se la Fontaine si affida troppo spesso a inquadrature statiche e prevedibili e  a volte la macchina da presa indugia in movimenti palesemente voyeuristici  (anche se aver girato in 35mm è scelta per altro verso coraggiosa e rende possibile apprezzare il passare del tempo nella grana della pelle di Roz e Lil), anche i dialoghi risultano di frequente banali o ammiccano a emozioni facili, più vicine a quelle da soap televisive.  Più in generale, l’incastro tra la cornice simbolica e “senza tempo” delle vicende (dove il paesaggio circostante e persino lo stesso pontile che accoglie in mezzo al mare gli incontri fugaci dei quattro appare immutato col passare degli anni e dei decenni) e i dati narrativi di impronta più realistica crea qualche stridio e forza l’ironia del testo verso toni quasi macchiettistici, come nel personaggio dell’antico spasimante di Lil o anche in quello del marito di Roz, quasi sempre e opportunamente assente.

Resta il fatto che, per un tale film, la scelta del cast è quella cruciale e qua, sempre a nostro avviso, non del tutto felice. Assolviamo la sempre brava e bella Robin Wright che per quanto consentitole dallo script,  riesce a modulare le  emozioni, dalla frenesia alla riflessione, e a contenerle nei gesti e nel suo sguardo ora felice ora dolente; ma non la Naomi Watts (sugli schermi oggi anche nei panni di Lady D.) che ci appare, al di là del  personaggio, quasi sempre in overacting a continua a farci rimpiangere la giovane attrice degli esordi (con la guida, peraltro, di registi come Lynch e Inarritu); nel bene e nel male poi, l’interpretazione delle due attrici condiziona anche la performance  dei due attor giovani.
Un’occasione sprecata, dunque. A meno che non serva a far incuriosire un più vasto pubblico all’opera di Doris Lessing…

 

 

Trama

Inseparabili fin da bambine, Lil e Roz vivono in perfetta simbiosi con i loro figli, due ragazzi dalla grazia singolare che sembrano quasi un’estensione delle madri. I mariti sono assenti. Inspiegabilmente, e tuttavia come piegandosi all’inevitabile, le due donne si avvicinano una al figlio dell’altra, in una relazione che si fa subito passionale.


di Sergio Di Giorgi
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