Tutto parla di te
Quarto lungometraggio della documentarista milanese Alina Marazzi, Tutto parla di te è un prodotto ibrido nel quale una vicenda di finzione si intreccia con segmenti documentaristici, filmini in Super8, fotografie, mini installazioni e interviste a comporre un insolito mix di generi cinematografici molto diversi tra loro tenuti però insieme dalla volontà di analizzare da più punti di vista lo stesso tema doloroso. Ovvero la depressione che affligge un elevato numero di neo mamme nel periodo successivo al parto.
Il punto di partenza “esterno” e in parte funzionalmente pretestuoso è la storia di Pauline, un’etologa francese già avanti negli anni che, dopo aver trascorso anni all’estero studiando il comportamento degli animali in un rifiuto quasi intenzionale ad approfondire i legami con altri esseri umani, torna a Torino nella casa in cui ha trascorso gli anni dell’infanzia. Nel capoluogo piemontese – che ha il volto di una metropoli fredda e ostile in piena sintonia col disagio esistenziale che affligge tutti i personaggi reali e di finzione presenti nel film- ritrova un’amica del passato che adesso dirige un centro di aiuto sia per future mamme impegnate nel difficile iter della gravidanza che soprattutto per quante mamme lo sono diventate da poco e combattono col buio che si accende dentro l’anima di fronte al senso di inadeguatezza che ne colpisce moltissime schiacciate dalle enormi aspettative nutrite da famiglia e società nei loro confronti.
Grazie a questa amicizia, Pauline si imbatte casualmente in una frequentatrice del centro, la giovane ballerina Emma, entrata nel suo personalissimo tunnel depressivo dopo aver di fatto subito la nascita di un figlio ed essere nel pieno di un’impasse esistenziale legato alla paura di non poter più fare il proprio lavoro rimanendo così incastrata in un ruolo, quello di madre, che le sta troppo stretto per poterle bastare.
Tra le due donne, divise dall’anagrafe ma anche dalla cultura e dal modo di rapportarsi al mondo nasce col tempo qualcosa che somiglia a un’amicizia complice che, alternando momenti di tensione a costruttive fasi di mutuo approfondimento, permetterà a entrambe di crescere e di liberarsi dal cupio dissolvi che le attanaglia per ragioni molto diverse. Il titolo del film sarà così più chiaro e meno ambiguo di quanto possa sembrare di primo acchito, visto che solo con l’approssimarsi delle ultime sequenze lo spettatore capisce quale sia la ragione per cui Pauline provi un’empatia tanto profonda nei confronti sia di Emma che di tutte le neo mamme che vede al centro impegnate nella loro battaglia quotidiana per resistere alla tentazione di mollare tutto sopraffatte dagli eccessi di aspettative e dall’essere lasciate sole di fronte all’enormità del compito imposto loro da madre Natura.
Mescolando a questo nucleo narrativo di fondo interviste a vere madri passate attraverso l’inferno della depressione successiva al parto (ma anche inserendo un bizzarro cartone animato in stop motion con pupazzi di carta pesta nel quale si mostra a cosa possa arrivare una madre al culmine del proprio delirio di inadeguatezza), oltre che vecchie immagini di repertorio e autentici filmini amatoriali in Super8, Tutto parla di te conferma appieno la sensibilità che Alina Marazzi ha sempre mostrato nei confronti dell’universo femminile e delle molte sfaccettature problematiche che ne caratterizzano le complesse dinamiche.
Un universo che Marazzi aveva già raccontato nei suoi precedenti tre documentari, tutti incentrati appunto su tentativi di identificazioni di diverse donne: se in Un’ora sola ti vorrei era il fantasma della madre – da lei mai veramente conosciuta perché suicidatasi quando la regista aveva soltanto sette anni – ricostruito attraverso i filmini in Super8 girati dal nonno (l’editore Ulrico Hoepli), in Per sempre erano le donne mancate finite a fare voto di clausura in due monasteri, mentre in Vogliamo anche le rose erano le donne degli anni ’60 e ’70 decise a combattere con ogni mezzo a disposizione per affermare la propria condizione di protagoniste attive della società e non più personaggi muti relegati sullo sfondo del palcoscenico della Vita.
Presentato nella sezione Cinema XXI all’ultimo Festival Internazionale del film di Roma, Tutto parla di te ha il merito di richiamare l’attenzione del pubblico su un tema di cui si parla troppo poco perché ne venga compresa la reale portata e incidenza a livello sociale e familiare. Ciò non ostante, anche per la mancanza di fluidità dovuta alla non facile convivenza di media espressivi troppo diversi per non creare iati nel racconto, questo ibrido tra fiction e documentario ha un punto di vista fin troppo sbilanciato (dove sono i padri? Possibile che tutte le donne intervistate non parlino mai di mariti, fidanzati e compagni fosse anche soltanto per lamentarsi della loro mancanza di sostegno?) per poter coinvolgere appieno quanti non si trovino nelle condizioni di prostrazione emotiva e psicologica denunciate nel film.
Trama
Tornata a Torino, la città che da bambina l’ha vista protagonista di un’infanzia traumatica, dopo aver trascorso molti anni all’estero l’etologa francese Pauline ritrova un’amica del passato che adesso dirige un centro di assistenza e sostegno per puerpere e neomamme alle prese con i disagi della sindrome post partum e che la coinvolge in un progetto di ricerca direttamente connesso a quel disturbo diffusissimo tra le donne italiane. Lì Pauline conosce la giovane Emma, una ballerina la cui vita è stata sconvolta dalla recente maternità. Il rapporto che si instaura tra le due donne permetterà alla più anziana di far riemergere i traumi del passato e alla giovane mamma in crisi di uscire dall’impasse esistenziale nella quale si dibatte.
di Redazione