Turner

Gli ultimi venticinque anni della vita del grande pittore inglese William Turner sono messi in scena da Mike Leigh con un approccio del tutto anticelebrativo, attraverso un eccezionale realismo a tratti perfino crudo che rafforza la rappresentazione, mai oleografica, mai edulcorata, al contrario nitida, esatta, rigorosa.
L’attore protagonista Timothy Spall – migliore interpretazione maschile al 67° Festival di Cannes, dove il film è stato presentato – dà corpo a un Turner ombroso e scorbutico, sgraziato e goffo, a volte addirittura brutale. Chiuso in se stesso, il pittore ha occhi solo per i suoi colori e per la maestosità della Natura, sempre al centro della sua arte nuova, dirompente, impetuosa. La compagna Sarah – dalla quale ha avuto due figlie ormai adulte – viene trattata come un’estranea seccante e inopportuna, colpevole di interrompere il suo lavoro ogni volta che si presenta in casa del pittore (con il quale la donna neppure convive) nel disperato tentativo di reclamare i propri diritti. Le stesse figlie sono per lui praticamente due sconosciute.

Una sorte anche peggiore viene riservata alla cameriera che lo serve fedelmente per quasi tutta la vita: dimessa, titubante, infine zoppa e deturpata da una malattia della pelle, sarà per il giovane Turner niente altro che un corpo su cui sfogare i propri istinti animaleschi, e infine uno straccio vecchio da buttare via. Eppure, lei serba per lui fino alla fine un affetto e un desiderio che non saranno mai intimamente ricambiati.

L’umanità e la sensibilità di quest’uomo introverso e fin troppo cinico sono riservate unicamente al padre anziano – verso il quale nutre un affetto sorprendentemente sincero e profondo – che fino all’ultimo lo assiste nel suo lavoro, preparando le tele e i colori, e alla vedova Booth, una signora di mezza età allegra e gentile che incontrerà in uno dei suoi tanti viaggi, e con la quale riuscirà a intrecciare una relazione affettiva finalmente stabile e autentica.

Molto della riuscita descrizione – a tratti impietosa – del personaggio, lo si deve, oltre che all’acuto regista, allo straordinario interprete. L’espressione costantemente diffidente e delusa; i versi gutturali – spesso veri e propri grugniti – con cui comunica, stentatamente, con chi gli sta intorno; le movenze, l’atteggiamento, i modi: tutto concorre a fare del grande artista una figura semi-bestiale, alla quale, nonostante l’indiscusso genio pittorico, poco si riesce a perdonare.

E tuttavia, il Turner uomo, con tutti gli abominevoli difetti del caso, non riesce ad offuscare il Turner pittore, il maestro della luce, il visionario, l’impressionista ante-litteram, l’artista che in maniera incredibilmente moderna ha ormai “preso congedo dalla forma”, come fosse già consapevole – con quasi un secolo di anticipo – delle future evoluzioni dell’arte figurativa.

L’incandescenza delle luci turneriane e il fascino dirompente della Natura ora incantevole, ora sublime, ora spaventosa – soggetto prediletto delle sue tele – vengono trasferiti da Leigh nell’impasto fotografico del film, fatto di luci terse e paesaggi maestosi. Le infinite gamme dell’azzurro del mare e del cielo, il bianco dorato e luminescente delle scogliere, la quiete ammaliante del verde prendono forma sullo schermo con la stessa pregnanza e potenza emanate dai dipinti di Turner.

E non solo: è l’intera ricostruzione dell’Ottocento inglese che è messa in scena a regola d’arte, senza una nota che stoni, e tuttavia senza mai comunicare un senso di finzione o artificiosità – e questa è una sfida difficile, che Leigh vince senza esitare, costruendo un film attraverso scene così vivide che sembra di riuscire, di fronte a esse, a percepire il freddo mattutino delle stanze, la pesantezza della polvere, le esalazioni acide dei colori, l’odore penetrante della brezza salmastra del mare.

Le due anime di Turner – l’uomo cinico e l’artista talentuoso – si uniscono senza fondersi e inquinarsi l’un l’altra, coesistono senza escludersi a vicenda, coabitano stranamente eppure perfettamente nello stesso corpo pensante e rozzo, capace tanto di freddezza e insensibilità quanto di un pensiero raffinato e sottile, di visioni profondamente potenti e ineguagliabili. Anche e soprattutto in questo scarto incolmabile, nella decisione cioè di opporsi a qualsiasi mitizzazione, di non sacrificare un necessario e coraggioso realismo a un artificioso, affettato romanticismo, sta la particolare pregevolezza del film.

Trama

William Turner è un artista affermato, sebbene la reazione di critica e pubblico alla novità dirompente della sua “pittura della luce” non sia sempre pacifica e positiva. Indifferente e cinico con la compagna e le figlie già adulte, brutale con la dimessa e umile cameriera, si dimostra però sorprendentemente sensibile e affettuoso con il padre anziano, che lo assiste nel suo lavoro. L’amore febbrile e totalizzante per la pittura – e quindi per l’osservazione della Natura – eclissa in lui quasi tutto il resto.


di Arianna Pagliara
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