Tropa de elite – Gli squadroni della morte

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tropa_de_elite-padilhaTropa de elite-Gli squadroni della morte, film del regista brasiliano Josè Padilha, ha vinto sorprendentemente nel febbraio 2008 l’Orso d’oro al Festival di Berlino. Si tratta di un lungometraggio controverso, al centro di enormi polemiche in patria e che ha generato non poche contrapposizioni in campo critico. A livello produttivo è stata un’operazione molto accurata e astuta, edificata su un budget ingente per l’industria filmica brasiliana, operazione che ha puntato per la distribuzione internazionale nientemeno che sul potente apparato dei fratelli Weinstein.
Ma perché Tropa de elite fa così discutere? Certamente per il tema centrale: il groviglio inestricabile tra bene e male che viene raffigurato in maniera vorticosa, angosciante, cupa.
I corpi speciali della Polizia brasiliana quando entrano in una favela sono autorizzati a fare qualunque cosa: distruggono, seviziano, torturano, uccidono senza alcuna pietà e senza il minimo rispetto dei diritti civili e umani. Vanno sostanzialmente in guerra in luoghi controllati da trafficanti di droga armati fino ai denti che presidiano il territorio con ferocia inaudita. In mezzo, ci sono le Ong, spesso costrette a scendere a patti con le cosche locali per poter operare liberamente. I componenti delle Ong sono in genere giovani borghesi che frequentano buone università e che appaiono convinti di dover esprimere solidarietà ai derelitti della favelas, salvo poi sfruttare la situazione per divenire a loro volta terminali dello spaccio di stupefacenti. I membri dei corpi speciali della Polizia Militare (Bope-Tropa de elite) sono invece ragazzi provenienti da ceti poveri che odiano l’illegalità, la droga e che vivono nel mito del rispetto delle regole e dell’incorruttibilità. In tal senso, gli autori di Tropa de elite cavalcano sostanzialmente una chiave di lettura pasoliniana (con riferimento all’intervento che Pasolini fece in favore dei poliziotti italiani durante i disordini studenteschi a Valle Giulia, a Roma, nel 1968). I poliziotti di elite infatti sarebbero i veri esponenti del popolo, giovani che hanno scelto il rispetto della legge e che si guadagnano di vivere con un lavoro onesto (e scarsamente remunerato) e rischiando la loro stessa vita. Questi ultimi si contrappongono ai figli di papà, ai borghesi ricchi e “fighetti” pseudo-politicizzati che giocano a fare i solidali ma che in verità appaiono inetti e arroganti. La polizia regolare è poi lo strato professionale-sociale in cui tutti mali convergono: sono infatti tutti corrotti e impegnati a spartirsi il territorio per chiedere il pizzo ai commercianti e per dividersi la torta con i grandi spacciatori.
Insomma, ciò che viene fuori dal film di Josè Padilha non è un quadro molto confortante; è l’immagine di un paese confuso in cui il confine tra legalità e illegalità è praticamente inesistente e dove il valore della vita umana è nullo.
Ebbene, il pericolo dell’esaltazione incondizionata della violenza e della tortura utilizzata per la lotta alla criminalità è presente in ogni sequenza. E spesso il film di Padilha scade in un’imbarazzante ed eclatante (per alcuni, fascistoide) presa di posizione a favore dei metodi intollerabili del Bope. Un paese democratico non potrà mai accettare simili sistemi di repressione, così come, però, non è possibile concepire che organizzazioni che dicono di praticare la solidarietà sociale si trasformino in centri di sostegno (seppur indiretto) delle cosche criminali.
Josè Padilha è comunque regista accorto e mostra con una certa frequenza la crisi di coscienza che un ufficiale del Bope, Nascimiento, inizia a vivere nel momento in cui sta per nascergli un figlio. La violenza, il sangue, gli omicidi, le torture divengono per il personaggio centrale fattori di destabilizzazione esistenziale che lo porteranno a distruggere la sua vita personale e il suo equilibrio psicologico.
Dal punto di visto stilistico-formale tutto è incentrato sul ritmo del montaggio e sull’instabilità delle inquadrature. La macchina da presa è collocata nel cuore delle azioni di Polizia e da allo spettatore la sensazione di vivere da dentro sparatorie e aggressioni. A nostro avviso, il linguaggio utilizzato da Josè Padilha risulta fortemente manieristico, e teso a spettacolarizzare in maniera eccessiva la vicenda. E ciò finisce per determinare un pericoloso e nefasto processo di immedesimazione dello spettatore nella terribili gesta dei componenti del Bope.
Infine, troppo esplicita e forzata ci è sembrata l’evidente citazione di Full Metal Jacket di Stanley Kubrick, in relazione alla sequenze dell’addestramento al limite del disumano dei giovano poliziotti selezionati per divenire macchine di morte e distruzione.

*Per concessione di Cultframe – Arti Visive e Comunicazione (www.cultframe.com)


di Maurizio G. De Bonis
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