Tre scimmie

A Istanbul, l’autista di un politico che ha ucciso un uomo durante un incidente, va in carcere al posto suo in cambio di una certa somma di denaro. Mentre l’uomo è in carcere, la moglie lo tradisce con l’uomo politico, il figlio la scopre e la schiaffeggia. La storia precipita quando l’uomo politico viene trovato ucciso, dopo che la donna lo ha invano implorato di non lasciarla. Nell’epilogo, ‘luomo ha imparato dal proprio sfruttatore a sfruttare egli stesso i più deboli. Questa la grande lezione morale che riceviamo dal film. Ma non è la sola.
Dopo Uzak e Il piacere e l’amore, Bilge Ceylan compone un affresco urbano familiare di rara intensità e rigore espressivi. Una grande lezione di stile e una profondità di sguardo come raramente ci è dato di vedere oggi al cinema.
La rara potenza dei primi piani dei personaggi, immersi in una luce quasi sempre livida di interni le cui superfici diventano esse stesse frammenti pittorici di un mondo intimo in disfacimento, basato sui silenzi e l’orrore della verità, rivelano, nella ricerca di una ancora possibile modernità, la grande lezione di un Jean Renoir, laddove le tensioni del realismo critico si fonde con quelle di un naturalismo cupo e fatalistico.
La suggestiva ambiguità della regia di Ceylan è la stessa dei suoi tre personaggi, che come le tre scimmie calano un velo definitivo sulla verità dei loro volti e della loro anima.
Un capolavoro.
di Maurizio Fantoni Minnella