The Wolf of Wall Street

Tratto dall’autobiografia del newyorkese Jordan Belfort – prima broker e poi motivational speaker – l’ultimo film di Scorsese è la parabola caleidoscopica e a tratti allucinata di un tipico self made man americano, che parte dal basso per dare inizio ad una agguerrita e ostinata scalata al successo. Il Jordan Belfort del film è interpretato da uno strabiliante, energico Leonardo Di Caprio che dà vita a un personaggio volutamente “eccessivo” attraverso una recitazione carica e intensa. Giovane ma fortemente determinato, Belfort intravede dopo un’istantanea quanto illuminante esperienza a Wall Street la possibilità di una vita diversa, fatta di lussi e ricchezze. Audace e dinamico, in poco tempo recluta un gruppo di scalcinati potenziali venditori e ne fa una squadra di broker aggressivi e vincenti: nasce così la Stratton Oak, società che man mano si ingrandisce e diventa sempre più potente, e scavalcando impunemente i limiti della legalità permette a Belfort e ai suoi soci di accumulare velocemente una vera e propria fortuna.

Quel che resta del sogno americano – ormai inquinato dalla corruzione più sfrontata – si materializza insomma nella vita del protagonista, e Scorsese ce ne mostra con sagace, opportuna ironia i lati più oscuri. Belfort infatti incarna nel modo più totalizzante un ideale di materialismo e vacuità assoluti: lo yacht immenso, la villa sfarzosa, fiumi di alcol e droghe di ogni tipo ad accompagnare continue feste, prostitute bellissime e compiacenti dovunque – oltre ovviamente a una famiglia perfetta composta da una moglie bella e bionda come una bambola e due bambini piccoli.

La ricchezza per la ricchezza, in sostanza. In questa dimensione distorta e abbacinante il protagonista finisce per perdere quasi la cognizione del reale e si spinge troppo oltre, sopraffatto da una sete di denaro e potere che sembra non avere fine: le sue speculazioni finanziarie condotte in barba alla legalità (parlare di etica è qui ormai impensabile) non sfuggono infatti all’FBI, che inizia ad indagare sulle losche attività della Stratton Oak. Così, Belfort rischia di precipitare vertiginosamente e rovinosamente in basso più rapidamente di quanto è salito in cima. Come tuttavia mostra l’eloquente, significativo finale del film, il suo aggressivo e cinico ottimismo (è lui il “lupo di wall street”) sembra davvero impossibile da sconfiggere.

Quello di Scorsese è un film potente, ricco, denso: visivamente quasi sovraccarico ma curato in ogni dettaglio, stilisticamente estroso ma sempre perfettamente pensato e controllato, è una riflessione impeccabile, vasta, esaustiva sulla forza corruttrice della ricchezza e del potere. Il senso di seduzione del potere, che agisce in maniera costante e man mano sempre più determinante sul personaggio di Belfort, slitta sull’immagine filmica che a sua volta vuole sedurre lo spettatore, diventando sfarzosa e quasi frastornante ma insieme levigata e limata.

La forza espressiva del cinema di Scorsese è indubbia: un cinema solido e vigoroso che riesce a fare della duttilità e dell’eclettismo un punto di forza, se si considera che l’ultimo lavoro del regista americano è stato Hugo Cabret, racconto magico e incantato quanto mai lontano dalle atmosfere The Wolf of Wall Street ma altrettanto – se non di più – convincente e riuscito. Dagli ambienti fiabeschi di una Parigi piacevolmente vintage Scorsese è passato insomma a descrivere con ben altro registro l’America corrotta e corruttibile di Jordan Belfort, per ribadire – se ce ne fosse bisogno – quanto è sottile in certe dimensioni la linea che separa la legalità dal crimine, la (legittima) volontà di autoaffermazione dalla sopraffazione, dall’inganno, dalla violenza silenziosa.

È chiaro fin dall’inizio tuttavia che il regista fa una precisa scelta di campo che consiste in una totale e lampante sospensione del giudizio di fronte al suo protagonista e, in senso lato, all’ambiente in cui Belfort si muove. Ma a ben guardare c’è di più: a questa scelta si accompagna infatti una certa fascinazione – che possiamo supporre voluta e consapevole – per il personaggio e in parte per il suo mondo, fascinazione che esiste al di là del bene e del male. Belfort del resto non è raccontato quasi mai da un punto di vista intimo e privato (la famiglia, le amicizie), ma piuttosto in un’ottica “fattiva” e pragmatica rispetto alla sua relazione oppositiva con il mondo, contro e attraverso cui lotta con sorprendente tenacia e instancabile vigore per realizzare i propri sogni. Sogni che tuttavia, poiché si traducono appunto in denaro e potere, non si lasciano possedere, ma al contrario possiedono – soggiogandolo – il protagonista stesso.

Trama

Dopo una rapidissima quanto determinante esperienza a Wall Street, Jordan Belfort – giovane e determinato – fonda la Stratton Oakmont, agenzia di brokeraggio che in breve diventa tanto potente da permettergli di accumulare una fortuna. Ma proprio quando tutto sembra procedere a gonfie vele l’FBI inizia a indagare sulle attività poco ortodosse della sua agenzia, e Belfort tenta disperatamente correre ai ripari insieme ai suoi colleghi.


di Arianna Pagliara
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