The Walk

Comincia il suo racconto dalla sommità della Statua della Libertà il Philippe Petit interpretato da Joseph Gordon-Levitt, introducendo subito lo spettatore in un’atmosfera da fiaba. C’era una volta un giovane funambolo francese, orgogliosamente ribelle e temerario, che coltivava un sogno: tendere il suo filo fra le due Torri Gemelle di New York. Come in ogni fiaba l’eroe ha bisogno di aiutanti, in questo caso diversi “complici” fra cui la graziosa fidanzata; e di oggetti dal potere più o meno “magico”, come le funi e molti altri attrezzi. Gli ostacoli sono le leggi, le norme di sicurezza, i controlli. Philippe deve costruire un piano da vero criminale per mettere a segno la sua impresa, non a caso chiamata “colpo”.
Il protagonista stesso narra la sua storia, andando a ritroso, sottolineando costantemente i suoi sentimenti e l’eccezionalità delle sue azioni. E questo appesantisce inutilmente il film di Zemeckis, la cui straordinaria forza visiva (specie, come è ovvio che sia, nell’ultima parte) non avrebbe bisogno di ripetute spiegazioni. I personaggi inoltre, quasi tutti francesi, parlano quasi sempre inglese, con il pretesto di prepararsi al meglio alla “missione” a New York: una scelta che appare poco comprensibile e che ovviamente il doppiaggio (che traduce le parti in inglese e lascia sottotitolate quelle in francese) rende ancora più confusa.
Altri aspetti poco riusciti sono l’inizio in una leziosa Parigi da cartolina (o da vecchio musical) e lo scarso o nullo approfondimento degli altri personaggi al di fuori del protagonista: la compagna Annie appare solo carina e paziente, degli altri pur interessanti complici emerge ben poco, se si esclude il vecchio acrobata affidato all’ottimo Ben Kingsley. Il personaggio di Philippe invece giganteggia: sognatore, ambizioso, egocentrico, pazzo, determinato, poetico. Eccezionale è l’interpretazione di Joseph Gordon-Levitt, che ha pure imparato a camminare sul filo in otto giorni, guidato dallo stesso Philippe Petit (ma si è fatto ricorso anche a una controfigura).
La camminata finale – compiuta il 7 agosto 1974, quando le Torri non erano ancora state completate – è il senso del film, ripaga di ogni attesa e compensa ogni difetto. Le riprese del funambolo che va avanti e indietro fra le torri sono eccelse, emozionanti, sono puro cinema, di quello che ti inchioda alla poltrona anche se sai già come va a finire. Zemeckis ha girato a Montréal, ha fatto ovviamente largo uso della tecnologia digitale ma ha anche messo al lavoro un imponente staff di scenografi per far rivivere al pubblico ciò che erano le Twin Towers: poco amate dai newyorkesi quando erano ancora in costruzione, illuminate e rese più a misura d’uomo dalla follia poetica di Petit, poi distrutte l’11 settembre 2001. Di questo non si parla mai nel film di Zemeckis, ma questo rende se possibile il ricordo della tragedia ancora più forte e struggente.
Trama
Una storia vera, a cui era già stato dedicato un documentario di James Marsh, Man on Wire – Un uomo fra le torri (2008) vincitore del premio Oscar (ma già nel 1984 c’era stato il cortometraggio “High Wire” di Sandi Sissel). Philippe Petit è un giovane funambolo e artista da strada francese che sogna di fare una “passeggiata” su un filo sospeso fra le Torri Gemelle del World Trade Center di New York. Per esercitarsi compie molte altre imprese, come tendere la fune fra le torri della Cattedrale di Notre Dame a Parigi. Il 7 agosto 1974, dopo una meticolosa preparazione compiuta con l’aiuto della fidanzata Annie e di altri complici improbabili, sorprende tutti, camminando più volte fra le Twin Towers con un piede ferito, una concentrazione assoluta e un cuore pieno di gioia.
di Anna Parodi