The Old Oak

La recensione di The Old Oak, di Ken Loach, a cura di Mariangela Di Natale.

Un film di contagiosa umanità. The Old Oak di Ken Loach, presentato in concorso al Festival di Cannes e nelle sale italiane dal 16 novembre con Lucky Red, è un manifesto di solidarietà e speranza, toccante e impegnato al punto giusto grazie a una sceneggiatura, a firma di Paul Laverty, commovente e profondamente attuale, malinconica e piena di aspettative.

Due volte Palma d’oro in Francia (Io, Daniel Blake 2016 e Il Vento che accarezza l’erba, 2006), oltre che Leone d’oro alla carriera nel 1994, Loach nel suo ultimo lungometraggio (forse davvero l’ultimo della sua carriera) porta avanti il suo impegno militante nella lotta di classe e temi attuali come l’inclusione e la gestione dei migranti.

L’Old Oak (vecchia quercia), con la sua “K” traballante dell’insegna, è l’unico pub aperto di uno sperduto villaggio del nord-est dell’Inghilterra, ex luogo minerario, ormai quasi spopolato fino all’arrivo dei  profughi scappati dalla guerra in Siria, causa di proteste, aggressioni e razzismo. TJ Ballantyne (Dave Turner), proprietario del locale, tiene in piedi il pub con tenacia e buona volontà, poiché si tratta dell’unico ritrovo dove le persone possono incontrarsi. Conteso tra i rifugiati e gli abitanti che non sono affatto contenti per l’approdo dei siriani, TJ comincia ad aiutare Yara, (Ebla Mari), una ragazza siriana che ama la fotografia, la sua famiglia e anche le altre persone giunte in città. Inizia così per TJ un tentativo di ospitalità e integrazione tra le due comunità, per aiutarle a comprendersi e a convivere.

The Old Oak rispecchia l’indole battagliera di Ken Loach, il suo interesse per gli ultimi, gli emarginati, di cui ne ha fatto una ragione di vita, facendoci riflettere sul ruolo del documento, la fotografia che fa memoria. La “vecchia quercia”, che è il suo alter ego, è l’ultimo luogo di speranza in un mondo che sembra averla persa del tutto, è l’unica strada per una possibile coesione, per un domani migliore. Per lo sceneggiatore e regista britannico, il futuro dell’umanità può essere solo nell’accoglienza, nella compassione e nel dialogo reciproco. Ken Loach (87 anni) quasi sessant’anni di cinema sociale, ancora una volta, riesce a infondere nel pubblico messaggi di aggregazione.


di Mariangela Di Natale
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