The Mother

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the mother“Non voglio ritornare a casa. Non sono pronta alla vecchiaia!” Così May risponde ad un interrogativo sospeso lungo tutto il film, con tensione drammaturgica ed etica, che necessita di una pronta risposta. Roger Mitchell, dando una diversa dinamica al genere, con The Mother, prosegue il viaggio intrapreso alcuni anni fa in Nothing Hill, trasformando quello che era un sogno, o un piccolo impulso r.e.m., in una complicata ragnatela psico-sociale. Rapporti generazionali, in un confronto contro ogni parentela o vincolo di sangue, alla ricerca di un segno di profondo affetto. Ognuno contro tutti, l’amore e il sesso – distinti e diseguali – respinti da cuori incapaci di trattenerli, anche per un attimo.

Se in Nothing Hill, i perimetri del famoso quartiere londinese, avvolgevano senza alcuna via di scampo la coppia Grant/Roberts, quasi a soffocarli con una miriade di presunte verità o bugie, inThe Mother, tutto diventa indistinto: gli spazi percorsi, le distanze tra le case, i colori. La morte iniziale, che genera tutto l’intreccio, porta la neovedova May e la sua famiglia verso lo sfascio. L’ulteriore esclamazione di May, “Dio beato, facci essere vive prima di morire” ridisegna quindi, le coordinate di un profondo disagio umano. Mitchell da quella prima frattura, inizia a vivisezionare ogni personaggio, ogni storia, ogni piccolo battito. May non riesce a tenere unita la famiglia, che in realtà non lo è mai stata. La figlia contro la madre, la madre con il futuro genero, il figlio contro la sorella.

Questo schema alla fine ci offre, questa volta sotto forma di verità, una continua serie di bugie ora disvelate. May cacciata via dal nucleo familiare che ha generato, e da quello che avrebbe voluto nuovamente generare, chiude sostanzialmente qualsiasi cerchio rimasto insoluto. L’amore eterno, che chiudeva Nothing Hill, questa volta si disperde, gelido, impotente, sterile, inutile, insignificante. L’egoismo allora riplasma e ridefinisce i contorni della storia, ripetendo all’infinito l’errore della menzogna.


di Davide Zanza
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