The Killer
Le recensioni di The Killer, di David Fincher, a cura di Elisa Baldini, Guido Reverdito e Francesco Ruzzier.

La recensione
di Elisa Baldini
“Il bisogno di sentirsi sicuri è un terreno insidioso.” La chiave di lettura di The Killer è tutta qui, in un epilogo dove per la prima volta la voce interiore del protagonista, sicario senza nome che per tutto il film abbiamo sentito parlare a se stesso, si rivolge direttamente a noi spettatori. È probabile che voi, come me, ci dice il killer, siate tra quelli che si sono comprati uno smartwatch che monitora quando i vostri battiti cardiaci superano il livello di guardia, fanno yoga la mattina appena svegli per combattere dolori cervicali e lombalgia, ascoltano podcast su come avere successo nella vita rimanendo concentrati solo ed unicamente sul proprio obiettivo e poi si ripetono le frasi motivazionali come un mantra, per cercare di crederci davvero.
È possibile che non ci sia molta differenza tra chi uccide per lavoro, chi fa uccidere per soldi, chi pulisce le tracce di chi ha provato ad uccidere per soldi e ha fallito, chi si ammazza di lavoro, chi di fronte a morte certa pensa ai soldi che lascerà come unica eredità imprescindibile per chi resta. Michael Fassbender non ha né la faccia d’angelo del Samurai di Alain Delon nel film di Jean-Pierre Melville, né la placida sicurezza dettata dall’Hagakure del Ghost Dog di Forest Whitaker nel film di Jim Jarmusch.
Sembra un Charlton Heston che ha inglobato Woody Allen: sguardo duro, passo deciso, abiti ridicoli da turista tedesco, acquisti impulsivi su Amazon ed una grattugia al posto del coltello durante la battaglia cruciale. Il ritmo della superficie del suo essere batte preciso e glaciale come il tappeto sonoro di Trent Reznor e Atticus Ross dei Nine Inch Nails, ma il suo cuore è tutto in cuffia, sotto la coperta di Linus dei The Smiths, e non può fare a meno di chiedersi quanto manca: “I am human and I need to be loved/Just like everybody else does”.

La recensione
di Guido Reverdito
Glaciale. Metodico. Ossessivo nella cura dei dettagli e nella pianificazione maniacale di ogni contratto. Privo di qualsivoglia empatia nei confronti degli obiettivi da raggiungere (ovvero gli esseri umani da togliere dalla circolazione) e con un mantra che ripete a se stesso in maniera compulsiva (“attieniti al piano”) come faro guida di ogni propria azione. E l’idea che la propria vita professionale si riassuma in un percorso monodirezionale che va dallo sguardo (l’osservazione accurata della vittima prima di eseguirne la sentenza su commissione) al traguardo (ovvero la messa in atto dell’esecuzione stessa).
Vive e opera in questo modo il killer algido e inespressivo che David Fincher e il suo sodale di penna Andrew Kevin Walker hanno trasferito sullo schermo prendendolo di peso dalla serie di graphic novel scritte da Alex “Matz” Nolent e disegnate da Luc Jacamon che uscirono dal 1998 al 2014 per poi essere riprese in versione sequel nel 2020. Un thriller adrenalinico che il pubblico festivaliero ha potuto vedere in anteprima a Venezia dov’era in concorso e che da giorni è approdato su Netflix dopo un fugace passaggio nelle sale.
Dopo titoli che in quasi trent’anni di carriera lo hanno consacrato ad autore di culto (da Se7en a The Game, da Fight Club a Zodiac, da The Social Network e da Gone Girl all’ultima fatica di Mank), con The Killer il regista di Denver sembra aver voluto chiudere simbolicamente un cerchio tornando sul luogo del delitto per parlare di nuovo di un assassino freddo e implacabile che gioca al gatto col topo con gli obiettivi che la committenza gli affida da ritirare dalla faccia della terra.
Ma se in Se7en (guarda caso scritto ugualmente da Walker) il meccanismo a orologeria funzionava a dovere e il destino faceva il suo corso, in questo thriller gestito interamente dalla voice off del suo protagonista l’errore imprevisto da parte di un professionista della morte a credito che non contempla sbagli porta a conseguenze a cascata che imprimono un ritmo fibrillante a una sceneggiatura volutamente statica nei suoi primi venti minuti. E che trascinano nel vortice di azioni e reazioni a catena anche gli affetti privati di un uomo senza nome che si scopre invece avere una vita autentica aldilà di quella professionale.
A dare volto e corpo al killer del titolo è un ritrovato Michael Fassbender che da un po’ di tempo latitava dalle scene (avendo preferito ai set le piste del circuito degli European Le Mans Series dove dal 2017 corre con la sua Porsche). Il suo killer inespressivo è una sintesi di metodo ed efficienza che uccide a sangue freddo ascoltando gli Smiths in cuffia, ma che deve far i conti con le bizzarrie del caso, finendo col diventare da cacciatore in preda quando paga caro un errore sul “lugo di lavoro” e deve improvvisare dopo una vita costruita sul ripetersi ossessivo di gesti meccanici votati sempre al successo finale.
Ma The Killer non è solo un thriller a orologeria adrenalinica che col passare dei minuti si converte in un violento revenge movie che esplode come una pentola a pressione dimenticata sul fuoco. A Fincher, tratto questo tipico di buona parte del suo cinema, non interessa solo raccontare ciò che si vede in superficie, ma soprattutto sfidare lo spettatore a scoprire tutto quello che sta dietro o sotto la patina superficiale che ricopre le cose.
Il che accade puntualmente anche qui: è vero che pedina il suo sicario mentre pianifica ed esegue con meticolosità quasi autistica ogni dettaglio del proprio lavoro in cinque parti diverse del pianeta (Parigi, Santo Domingo – dove possiede una residenza lussuosa in un pezzo di paradiso in terra -, New Orleans, New York e Chicago). Ma proiettando l’azione su scenari chiave del capitalismo, ne scardina le fondamenta fragili criticandone talune ossessioni contemporanee di tracciabilità e visibilità totali. Cui non a caso il suo killer senza nome reagisce sprezzante relegandole ai margini del proprio panorama esistenziale con un icastico “I don’t give a fuck”.

La recensione
di Francesco Ruzzier
Per essere un killer perfetto bisogna avere una precisione maniacale, seguire il proprio metodo senza esitazioni, non lasciarsi distrarre da nulla e non abbandonarsi mai alle emozioni. Un killer deve studiare nel dettaglio ogni ambiente e ogni vittima, non deve mai lasciare traccia di sé. Dev’essere un fantasma senza identità.
Con The Killer, David Fincher adatta l’omonima graphic novel di Alexis Nolent e Luc Jacamon, torna a collaborare dopo quasi trent’anni con lo sceneggiatore di Seven, Andrew Kevin Walker, e racconta la storia di un sicario metodico e apparentemente infallibile che commette un errore e, per la prima volta, perde il controllo sul proprio mondo.
È piuttosto evidente fin dallo strepitoso prologo dagli echi Hitchcockiani di come questo sia un film che dice molto anche del suo autore, della sua visione del mezzo cinematografico e del suo stile nel raccontare le storie. Ossessiva e maniacale nella ricerca della perfezione, la regia di Fincher lavora con spazi e tempi narrativi in modo analitico e precisissimo, intervenendo sulla suspence, sul montaggio e sul sonoro con freddezza calcolata. I capitoli che compongono The Killer rappresentano inoltre una riflessione sulla serialità e sulla reiterazione della struttura narrativa: la ripetizione di mantra, regole e metodo sembra l’unico modo per provare a fare ordine nel caos del mondo.

di Elisa Baldini, Guido Reverdito e Francesco Ruzzier