The Host

Film di “fantarealtà” racconta della Terra invasa da alieni che si impossessano dei corpi dei terrestri e li fanno divenire buoni e privi di iniziative annientando la loro personalità. Ma una giovane che appartiene alla Resistenza si rifiuta, combatte e riesce a dialogare con l’Anima che dovrebbe sostituire il suo cervello e il suo cuore. Messaggio di speranza, strizzatina d’occhio sulle diversità che possono convivere, love story ed un po’ d’azione.
Andrew Niccol, regista e sceneggiatore, ha avuto un timore reverenziale o incapacità di trovare una lettura personale della vicenda narrata dal romanzo da cui il film è tratto. Molto atteso soprattutto dai giovanissimi perché tratto da “L’ospite” (2008) di Stephanie Meyer, la quarantenne creatrice coi suoi scritti del fenomeno mediatico e sociale della saga “Twilight” da cui è nato un insieme di film molto seguiti ed amati soprattutto dagli adolescenti, il film può definirsi in conchiuso, deludente.
Il credo Mormone della scrittrice si evince facilmente anche in questo suo lavoro, furbescamente ma in maniera menzognera presentato come per un pubblico più adulto. Anche qui vi sono riferimenti religiosi con l’attrazione sessuale sempre sublimata e casta, con l’esigenza di un pudore anche all’interno della protagonista ‘sdoppiata’ in due donne con i loro sentimenti.
Quando l’Anima inizia a scoprire l’amore, Melanie è confusa ma si apparta nell’altra stanza del cervello per lasciare privacy a lei ed al suo innamorato mentre si baciano, quando il fidanzato di lei coccola il ‘corpo’ dell’aliena per avere un contatto con chi ella imprigiona, ha un attimo di gelosia che si risolve in uno schiaffo da lei comandato ed eseguito dal suo corpo.
Tra le scelte narrative più fastidiose vi è la voce interiore della ragazza che dialoga col cervello dell’aliena, piagnucola perché non può farsi sentire all’esterno, suggerisce alla sua carceriera cosa dire, come comportarsi, come reagire a situazioni e sentimenti da lei mai provati. Nelle oltre due ore del film diviene addirittura insopportabile, creando disagio da chi sente questa voce fuori campo che, invece, è inserita all’interno del corpo che si continua a vedere.
Inutile dire che vi sarà un doppio trionfo dell’amore, con l’aliena che è disposta a morire pur di lasciare ai due fidanzati la possibilità di vivere felicemente assieme ma che riesce a sopravvivere perché viene impianta nel corpo di ragazza che era in coma e a cui lei dona nuova vita. Ovviamente, il ragazzo di cui è innamorata le starà vicino e, assieme, creeranno un’altra coppia felice.
Da quanto detto, è facile capire che il target per il romanzo e per il film è proprio quello dei più giovani, di quelli che sentono romanticamente di lottare per amori impossibili, degli eterni sognatori che si commuovono nel vedere che l’amore trionfa su ogni cosa. Ma quest’impostazione dominante fa dimenticare quello che, forse, doveva essere il messaggio che poteva emergere. La Terra trasformata in un mondo in pace ma dove il libero arbitrio, una delle basi del cattolicesimo, è stato sacrificato per raggiungere una perfezione senza emozioni. I corpi non sono stati trasformati, ma un sorriso stampato sulle labbra e la pupilla lucente tradiscono la trasformazione di quegli uomini vittime di un annientamento intellettuale imposto forse a fine di bene.
Pochissimo spazio viene dato alla Resistenza che si rinchiude in un’enorme grotta inserita nell’entroterra desertico, come un enorme ventre materno in cui sperare di potere nuovamente nascere. Le desolate lande possono anche ricordare il mondo del Far West quale omaggio alla nascita del sogno americano, donando atmosfere da western che si scontrano con l’altissima tecnologia dell’urbanizzazione aliena.
Peccato non avere sfruttato di più queste differenze, la contrapposizione della forza fisica e della volontà dei ribelli contro l’apparente strapotere tecnologico ma senza emozioni degli alieni. Le scene più belle si svolgono proprio in questo ambito, con il carismatico William Hurt capo della comunità, geniale inventore che con un gioco di specchi riesce a fare arrivare il sole ad enorme piantagione di grano, zio di Melanie che non vuole uccidere l’aliena che la ha imprigionata perché capisce che la nipote ha saputo sopravvivere in lei.
E, finalmente, si ha un Hurt ai suoi massimi livelli, capace di donare al proprio personaggio grande credibilità, vigore, amore, crudeltà e pietas. La talentuosa, Saoirse Ronan, attrice in continua evoluzione che dimostra di vivere in maniera completa i suoi personaggi, è la Melanie combattuta tra due presenze antitetiche tra loro che la dominano a turno, è terrorizzata e cerca di non pensare per non fornire informazioni sui ribelli a questi aguzzini buoni. La vagante che la tiene prigioniera, di nome Wanderer ma che è chiamata dai ribelli col nome più dolce ed umano di Wanda, si rende conto che l’indottrinamento subito la ha privata della possibilità di vivere il raziocinio: si ribella in nome dell’amore, rispetta Melanie perché lei stessa ha scoperto l’innamoramento.
Saoirse Ronan, diciannove anni ed una carriera artistica di tutto rispetto, è di origini irlandesi ed è figlia di attori che la hanno spronata a studiare recitazione, a fare esperienze teatrali, televisive e cinematografiche tanto da averla fatta maturare velocemente: attualmente ha firmato il contratto per 5 film da realizzare entro il 2014, tutti con autori di buon rilievo.
La poco espressiva attrice tedesca Diane Kruger è perfetta per dare vita alla cercatrice senza cuore, uno dei capi degli alieni. Occhi gelidi, mai un sorriso, viso attonito e crudele. Una scelta perfetta la ex ballerina classica, ex modella ed indossatrice ed ora, forse, anche buona attrice di cui si ricorda praticamente solo Troy (2004) del suo connazionale Wolfgang Petersen più per la sua bellezza che non per la bravura.
Ma dalla scrittura alla regia il film pesa soprattutto sulle spalle di Andrew Niccol. Vive di rendita per l’ottimo script di The Truman show (1998) ma nei pochi film da lui realizzati pochi realmente soddisfano. Nel suo film precedente In Time (2011) non riusciva mai a trovare una chiave narrativa interessante che facesse decollare il film a dimostrazione che ritentare di avventurarsi nel mondo della fantascienza forse non è stata una buona idea. Gattaca – La porta dell’universo (1997) aveva fatto bene sperare sulle sue capacità anche in questo genere, ma gli manca qualcosa per essere considerato un autore interessante. Pochi film, poca capacità autoriale, a tratti una certa insicurezza anche come regista.
TRAMA
La Terra subisce invasione aliena da parte delle Anime che si inseriscono nei corpi umani come parassiti togliendo loro capacità di ragionare. Tra i membri della resistenza c’è Melanie che viene catturata e resa schiava. Ma non perde la propria identità, continua ad amare il compagno ed a pensare al fratello minore che ha promesso di proteggere. L’aliena, che scopre cosa vuol dire provare sentimenti, l’aiuta a trovarli e l’agevola nel tentativo di salvare la specie umana.
di Redazione