The East

Da quando la tragica follia dell’11 settembre 2001 ha definitivamente spazzato via ogni traccia di innocenza perduta in un paese – gli Stati Uniti – da sempre ossessionato dal fantasma del complotto, il cinema americano non ha fatto che sfornare infinite variazioni sul tema paranoico della minaccia terroristica e della sua applicazione pratica a ogni livello della vita civile.

Questo thriller a metà tra il film di denuncia impegnata e lo spionaggio adrenalinico indaga nelle pieghe dello stesso tipo di ossessione monomaniaca, dedicando però le sue attenzioni a una variante meno battuta dal cinema mainstream ma di certo molto alla moda dalle parti di quello impegnato e indipendente perché legata a un altro chiodo fisso che martella da un po’ di anni le coscienze degli americani engagé. Ovvero fino a che punto ci si possa spingere nel tentativo di contrastare con efficacia l’onnipotenza delle multinazionali (sopratutto nel campo chimico e farmaceutico) che si arricchiscono ai danni delle masse ignare dei metodi illeciti con cui raggiungono i propri obiettivi commerciali.

La vicenda ruota intorno alla figura di Sarah Moss, giovane e bella ex agente dell’FBI che, passata a lavorare per la Hiller Brood, una compagnia specializzata nello spionaggio industriale e nella protezione della riservatezza dei dati di grandi multinazionali con troppi scheletri nei propri armadi, viene scelta per una missione ai limiti dell’impossibile: infiltrarsi in una misteriosa organizzazione di eco-terroristi (il cui nome dà il titolo al film che quindi non ha nulla a che vedere né con l’Oriente né con la geografia) cercando di conquistarne la fiducia onde poter raccogliere preziose informazioni circa atti di sabotaggio e terrorismo industriale che il gruppo progetta di organizzare proprio ai danni di alcuni clienti della Hiller Brood.

Dopo essere riuscita ad avvicinare la cellula (che vive sepolta in una casa abbandonata in mezzo a una foresta) e a farsi accettare con enorme fatica dai membri che la compongono, Sarah entra in contatto con un mondo di cui nessuno potrebbe immaginare non solo l’esistenza ma sopratutto gli stili di vita: si tratta dei cosiddetti freeganist, ovvero quegli estremisti radicali che rifiutano ogni contatto con la società dei consumi e la contestato vivendo con gli scarti (alimentari e materiali) che essa produce ogni giorno per dimostrare come i pilastri del suo stesso esistere poggino sulla sottocultura del consumo compulsivo e del superfluo.

Rispetto però ai moltissimi branchi di freeganist che si aggirano per le strade blu dell’America – quelle secondarie fuori da tutto e tutti descritte con impareggiabile maestria dal nativo americano Harry Least-Moon nel suo celebre libro omonimo – viaggiando a piedi o a sbafo nei cassoni dei treni merci e cibandosi di alimenti scaduti che i supermercati buttano ogni giorno a tonnellate pur essendo ancora più che commestibili, i membri del gruppo “The East” hanno fatto il salto di qualità trasformando uno stile di vita in un programma di guerriglia urbana.

Tocca a Sarah scoprire che i suoi nuovi compagni di viaggio (uniti da riti settari di dubbio gusto e da deliranti fascinazioni pseudo pagane ma anche un po’ ambigui per il loro essere quasi tutti figli di quella stessa borghesia “bene” di cui contestano l’arricchimento irresponsabile) si stanno preparando per colpire alcune multinazionali nel campo della chimica e della farmacologia responsabili di disastri ambientali e di autentici attentati alla salute ignoti all’opinione pubblica perché coperti nella maggior parte dei casi dalla rispettabilità di facciata che ammanta sempre l’azione di questi colossi industriali.

Il metodo che il gruppo ha scelto per mettere in pratica questa vendetta sociale di natura anarchica è quello dell’antico codice di Hammurabi. Ovvero la cosiddetta legge del taglione che, nel caso specifico del film, si esplicita in azioni di ecoterrorismo volte a colpire i responsabili dei vari scempi ai danni dell’ambiente e dell’uomo con gli stessi strumenti da essi usati per sfregiare la società e il mondo che li circonda.

A chi scarica tossine nei fiumi causando il cancro ai malcapitati della zona anche solo per essersi lavati i denti tocca un bagno nelle stesse acque inquinate che escono dagli impianti di depurazione non sufficientemente ecosostenibili dei propri centri industriali. Così come ai boss di colossi farmaceutici che avvelenano i pazienti con medicine tanto dannose quanto fonti di lucro infinito (ed è ciò che è accaduto proprio a uno dei membri del gruppo, un medico menomato dagli effetti collaterali di un antibiotico assunto mentre faceva il volontario in Kenya) tocca invece di finire avvelenati a base di champagne “addizionati” con quello stesso farmaco nel corso di una festa.

Dopo una fase iniziale nella quale Sarah si limita a fare la parte dell’infiltrata raccogliendo preziose informazioni sul gruppo, le sue strategie e i piani di azioni future, col passare del tempo e il contatto quotidiano coi membri del gruppo (che da oggetto di studio si convertono in breve in mentori culturali e latori di messaggi di rivolta che le si insinuano subdoli nei meandri del subconscio senza che lei nemmeno se ne accorga), la ragazza inizia a mettere in forse le sue incrollabili certezze cartesiane finendo con l’avere un quadro ben più chiaro su chi siano i veri criminali nella battaglia che vede contrapporsi i presunti terroristi e le loro vittime.

Prodotto dai fratelli Scott (il grande Ridley e il fratello Tony, scomparso proprio a fine film) e presentato quest’anno al Sundance Film Festival, questo eco-thriller con evidenti vocazioni all’impegno di denuncia è molto avvincente là dove, nella prima parte, racconta il difficile percorso di infiltrazione dell’agente Sarah Moss nel gruppo di sabotatori anarchici, regalando così allo spettatore uno spaccato di vita in diretta dei gruppi che si identificano nell’ideologia freeganist mostrandone la presunta bontà della causa. Un quadro che appare davvero convincente perché è stato ricostruito dal regista e dall’attrice protagonista sulla base delle esperienze fatte insieme nel 2009 quando i due trascorsero cinque mesi vivendo in compagnia di piccoli gruppi di freeganist, e avendo proprio allora l’idea di fare un film che li mettesse al centro dell’azione.

Le cose cambiano però nella seconda parte, quando i tormenti interiori della protagonista prendono il sopravvento su tutto il resto e la sceneggiatura, avvitandosi appunto nel caso di coscienza di una donna che è pagata per commettere scorrettezze ai limiti della legalità ma che si deve confrontare con chi la legge la viola davvero anche se per il bene comune, sembra prendere una piega molto rischiosa nella sua ambigua torsione apologetica. Al punto che, presentando gli ecoterroristi come crociati del bene che giustificano la lotta al Male usandone gli stessi mezzi a fini di vendetta, finisce col veicolare un messaggio pericolosamente ambivalente là dove dà l’impressione di voler presentare il terrorismo hammurabico di ritorsione come la sola via praticabile per farsi giustizia contro chi è troppo potente per essere sottoposto alla legge dei comuni mortali.

Aldilà di questo aspetto che rischia davvero di esporre il film a critiche (giustificate) in tal senso, The East ha però l’indubbio merito di far conoscere a chi non ne avesse già sentito parlare l’insolita figura dell’attrice che interpreta il personaggio della protagonista, ovvero la trentunenne Brit Marling. Dopo essersi laureata in economia presso la prestigiosa università di Georgetown di Washington (la più antica degli USA), decise di seguire a Los Angeles due compagni di studi – Mike Cahill e Zal Batmanglij – che vi si erano trasferiti decisi a fare di tutto per sfondare nel difficile mondo del cinema.

Il sodalizio dei tre ex compagni di università ha dato ottimi frutti: dopo aver scritto e interpretato nel 2011 Another Eart con Mike Cahill (per il quale ha poi interpretato anche Origin, in arrivo nelle nostre sale), con The East la bella Brit è passata a lavorare con Zal Batmanglij, insieme al quale ha anche scritto la sceneggiatura ritagliandosi pure una piccola parte come produttrice del film. A questo punto manca solo l’inevitabile passaggio dietro la macchina da presa per dirigere una propria sceneggiatura. Cosa che avverrà di sicuro, anche se ci sia augura che lei e i suoi due amici registi mettano il proprio talento al servizio non solo di temi e ossessioni (più che rispettabili ma alla lunga un po’ ripetitive) legate all’ambiente e ai danni che l’uomo irresponsabilmente vi arreca.

Trama

Ex agente dell’FBI passata al servizio un’agenzia privata di spionaggio che cura gli interessi di grandi aziende americane e multinazionali, Sarah Moss viene infiltrata sotto copertura in un collettivo anarchico di ecoterroristi specializzati in azioni di disturbo e piccoli raid terroristici ai danni di compagnie del campo chimico e farmaceutico accusate di crimini ambientali o pratiche contro la salute dei cittadini. Dopo aver vinto l’iniziale sospetto dei membri del gruppo, Sarah ne conquista a poco a poco la fiducia, finendo col mettere progressivamente in discussione le proprie certezze.


di Redazione
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