The Aviator
A distanza di due anni dalla personale visione della nascita, nel sangue, della sua amata città in Gangs of New York, il maestro italo americano del cinema tout court, politicamente scorretto quanto basta da innescare sempre e comunque accesi dibattiti, si misura a modo suo col biopic. Il genere che racconta le vite degli uomini illustri, attualmente molto di moda nella Hollywood a corto di idee.
The Aviator è la vita del miliardario texano Howard Hughes (1905 – 1976): produttore cinematografico dispotico con la mania per le belle donne della celluloide e gli aerei. Il suo è ovviamente un percorso tortuoso, una vita sbandata, fatto come sempre di alti e bassi, fallimenti e rinascite. Eppure The Aviator, proposto all’eclettico Michael Mann dallo sceneggiatore John Logan e poi “commissionato” a Scorsese con Mann al timone della ricca produzione, rischia di essere uno dei film più sopravvalutati di sempre. Una sorta di epopea tutta lustrini e payette in cui primeggia il bel faccino pulito di Leonardo Di Caprio, deciso più che mai a calarsi nel ruolo dopo aver letto una biografia del produttore di Angeli dell’Inferno (1930), assolutamente non somigliante al vero Hugehs.
La solida regia di Martin Scorsese regala, però, a tutta l’opera un taglio altamente artistico. Facendolo diventare un film di grande impatto visivo in cui spiccano superbe le scenografie del nostro Dante Ferretti, le scene in cui Di Caprio/Hughes è alle prese con i suoi aerei e i fisici statuari, velati da abiti dell’epoca, di bellezze come Katharine Hepburn (Cate Blanchett) e Ava Gardner (Kate Beckinsale), che tra sartoria e makeup riescono a rivivere sul grande schermo. Una parata di stelle e belloni degna della mitologia di bassa lega della Hollywood degli anni ’30 e ’40, tanto glamour da essere stancante, ripetitiva e supportata da una sceneggiatura un po’ troppo scontata, tanto che la mano di Scorsese è a dir poco provvidenziale.
Nel ’64 Edward Dmytryk aveva già portato al cinema una storia che si ispirava alle “gesta” del miliardario texano con L’Uomo che non Sapeva Amare, un film di grande successo che però non aveva l’agrodolce sapore di retrò di The Aviator, ne la divertente follia dei due protagonisti di Una Volta ho Incontrato un Miliardario (1980) in cui un Jonathan Demme in forma fa diventare Hughes una sorta di modello, di realizzazione del cosiddetto “sogno americano”. Nessun paragone troppo stretto con The Aviator, può imbastire una polemica sulle doti espressive dell’effeminato Di Caprio o sui buchi della sceneggiatura.
Questo è un film su Hollywood, fatto per i nostalgici, che piacerà alla Hollywood delle vecchie glorie. Tecnicamente ineccepibile, con il lavoro Ferretti che meriterebbe un Oscar, mentre l’intera vicenda, dal punto di vista storico non ha niente da farsi perdonare. Sarebbe veramente una disdetta se Scorsese vincesse il tanto agognato Oscar per questo film. Ne ha fatti e ne farà sicuramente di migliori. La visione di questa pellicola dovrebbe zittire tutti quei critici della domenica che hanno tacciato di mediocrità Gangs of New York. Il Di Caprio finalmente attore, con la faccia e i vestiti sporchi, ritorna in questo film a sfoggiare il vestito della festa. Scompare il sudicio pizzetto e ricompare la pettinatura con chili di gel e fila in mezzo. Tra transatlantici che affondano (Titanic) e supersonici aerei, il bel Leonardo dovrebbe essere una star del nuovo “futurismo” cinematografico. Peccato che le sue guance glabre tradiscano il fatto che di strada da fare, verso l’olimpo dei grandi divi, ce ne ancora tanta.
Un unico pensiero cattivo sul cast stellare: che ci fa nei panni di Jean Harlow la bruttina e sgraziata Gwen Stefani, cantante platinata epigona di Madonna, dei NoDubt?
di Armando As Chianese