Still Life
Il film scritto e diretto da Uberto Pasolini, è stato premiato alla 70. Mostra del Cinema di Venezia per la miglior regia nella sezione Orizzonti.
Cosa rimane di un individuo quando la morte lo raggiunge? Una poltrona vuota, un piatto dentro il lavandino, della biancheria sopra un termosifone, un cuscino sformato e unto. Oggetti, mobili, stoviglie, fotografie vanno a comporre un mosaico senza più alcun senso. Nulla risulta più veramente percepibile e la casa, il luogo si cui si è consumata l’ennesima anonima esistenza, improvvisamente si trasforma in un territorio inerte, in un buco nero in cui ogni relazione con la realtà è risucchiata nell’abisso del nulla.
Solo qualche immagine fotografica sembra poter “produrre memoria”. Per un attimo, chi non c’è più riemerge nel presente (quale presente?) dalla nebbia dell’assenza e si manifesta in modo evanescente nello sguardo chi si occupa di allungare ancora per qualche giorno il suo ricordo. Il ricordo di una storia, di sentimenti, di tragedie, di fatti minuscoli, tutti elementi destinati a depositarsi in un anonimato che prima o poi riguarderà ognuno di noi e che sancirà una volta per tutte l’essenza atopica degli istanti che compongono il diario esistenziale di ogni persona.
John May ha proprio il compito di cercare di “mantenere” in un presente (inesistente) una memoria fatta di pietà umana, di vicinanza interiore, di passione, non tanto per la vita quanto piuttosto per le private vicende umane. Tali vicende sono per John tutte racchiuse nelle fotografie che raccoglie nelle case dei morti che visita per conto del Comune. Questo sacerdote della solitudine accompagna il ricordo di chi è scomparso con dignità e un senso profondo di rispetto, il rispetto dovuto nei riguardi di chi ha attraversato la vita senza che nessuno se ne accorgesse.
Still Life non è un film triste, e nemmeno patetico; è una parabola filosofica sull’impalpabilità dell’esistenza, è la fotografia della nebulosità dei rapporti umani, è una cerimonia conclusiva che non contempla, pur nell’attenzione per ogni fede religiosa, l’idea metafisica di un’altra vita. Tutto si conclude con l’ultimo respiro. Rimarranno solo, per qualche tempo, le risonanze di vite normali. Poi, il buio.
Uberto Pasolini edifica questa vicenda seguendo un principio espressivo estremamente rigoroso. Descrive la vita quotidiana di John May, le sue giornate di lavoro, con sguardo mai compassionevole e melenso. Al contrario, una severa freddezza contraddistingue le “avventure” del personaggio centrale, una freddezza che raffigura niente altro che il fluire della normalità giornaliera. In una realtà arida e caratterizzata dalla solitudine, May riesce a cogliere il valore profondo della vicinanza umana, scavando nelle vite di derelitti che non hanno più contatto con nessuno. Scopre immancabilmente una stratificazione di storie, sentimenti, situazioni che con il passare del tempo disperdono la loro forza nello scorrere dell’insensatezza del mondo ma che, nonostante tutto, vale la pena di onorare.
Gli aspetti registici e formali sono di fondamentale importanza per l’equilibrio dell’intera opera. Pasolini inquadra in modo frontale e rigido la realtà, mostrando di conoscere le tendenze più recenti della fotografia contemporanea, e usa un’impostazione cromatica funerea che allude al discorso di fondo che sostiene ogni sequenza. Così come la direzione degli attori, sempre tendente a sottrarre, conferisce a ogni personaggio (anche a quelli minori) un’alta statura morale.
Nell’evoluzione del racconto viene messo a fuoco con chiarezza quanto la vita di un individuo rappresenti un’eccezione rispetto all’infinito nulla che la precede e all’infinito nulla che la seguirà.
Non si può far niente per negare questa evidenza (a meno che si creda in qualche religione), si può solo compiere un ultimo gesto di “umana affezione” (come fa sempre il protagonista) verso chi ha già affrontato il suo “essere eccezione” nell’oceano non misurabile del silenzio.
Still Life si configura quindi come un’opera di rara compiutezza estetica e narrativa, con solo una, quasi insignificante, caduta di rigore nel finale quando Pasolini sembra cedere alla prevedibilità.
Trama
John May lavora in un grande Municipio del comune di Londra. Il suo compito è occuparsi di tutti quei cittadini che muoiono in solitudine. John cerca eventuali parenti, amici disposti a venire al funerale e pensa con scrupolo a ogni questione burocratica. La sua vita procede in maniera regolare, fino a quando gli verrà comunicato il suo licenziamento. A John non resterà che occuoarsi dell’ultimo caso che gli viene affidato.
di Maurizio G. De Bonis