Spring Breakers – Una vacanza da sballo

Per chi non avesse sufficiente dimestichezza col mondo universitario a stelle e strisce, lo Spring Break è quella settimana che, inserita a metà del semestre primaverile, per gli studenti americani rappresenta occasione per fare baldoria infischiandosene di tutte le regole e offrendo il peggio di sé in una specie di delirio festaiolo istituzionalizzato in cui dare la stura in centri debitamente attrezzati alla bisogna, ovvero villaggi turistici, resort concepiti appositamente per gli sballi rave di gruppo e via dicendo. Ma – dettaglio assolutamente imprescindibile – al sole caldo dei tropici (e la Florida, come nel caso presente, è la destinazione più gettonata per questo tipo di eccessi).

Ed è proprio ciò che accade alle quattro protagoniste di questo prodotto giovanilistico approdato in concorso lo scorso settembre a Venezia, dove scatenò un gran polverone essendo stato preceduto da un feroce battage pubblicitario che puntava tutto sull’effetto scandalo per il tema trattato e per le modalità apparentemente spinte con cui l’inconsistente vicenda di deragliamento adolescenziale viene affrontata.

Decise a tutti i costi a trovare i fondi per permettersi la vacanza-sballo in Florida durante lo Spring Break, tre delle quattro amiche e compagne di scuola al centro del film rapinano un fast food servendosi di pistole ad acqua che spacciano per ferri autentici. Quando lo spettatore le vede convertirsi in delinquenti improvvisate ma fredde quanto basta per portare a compimento un’azione che anche navigati professionisti del crimine potrebbero ammirare con invidia, non si stupisce più di tanto perché la sceneggiatura le ha già presentate per quello che sono in una lunga sequenza introduttiva pericolosamente somigliante a un videoclip di bassa qualità.

Ovvero delle adolescenti amorali cresciute a spinelli e MTV che si sballano con chilum artigianali di vario tipo, passano il tempo a sognare i membri dei maschi che incontreranno una volta arrivate a destinazione e sembra possano tirare fuori da un momento all’altro da quel poco di cui sono vestite un curriculum fatto solo di entrate e uscite dal riformatorio con qualche giorno trascorso sui banchi dell’università tra una parentesi e l’altra dietro le sbarre.

Arrivate al sole della Florida forti della geniale idea di autofinanziamento che ha permesso loro di partire ma anche del profilo da educande che si portano dietro (una di esse, Faith – come dice il nome – lo è però davvero, visto che frequenta le grintose sessioni di un predicatore fanatico), le quattro amiche mettono in pratica quanto sognato per tutto l’anno accademico e si danno allo sregolamento dei sensi lasciandosi trascinare dal vortice di festini a base di sesso e alcol di cui la Florida si conferma essere generosa dispensatrice.

Per mostrarci in cosa consista questa versione di dolce vita in salsa americana (che poi è un solo una mistura frenetica di sesso, droga e hip hop), Korine bombarda lo spettatore con un collage di videoclip fatto a base di camera a mano e alternanza di digitale e tradizionale in cui per parecchi minuti si vedono solo corpi (sempre rigorosamente in bikini e bermuda) che si agitano frenetici sulla spiaggia o all’interno di squallide stanze di motel messi a soqquadro al termine di notti di bagordi rovesciandosi addosso gli ettolitri di alcol che non trovano spazio nelle pance.

Il tutto spacciato come se fosse la quintessenza della trasgressione, mentre invece si tratta paradossalmente di immagini soltanto furbette che alludono senza mostrare e che al massimo permettono a qualche capezzolo a caso di fare capolino tra i cumuli di carni che si avvinghiano mentre i festini impazzano. Senza però mai che nessun censore bacchettone possa gridare allo scandalo perché si vede molto meno di quanto un qualunque adolescente può vedere in TV anche in fasce orarie teoricamente protette.

A questo punto, una volta stabilito lo sfondo socio-culturale (parola davvero grossa da usare visto il contesto) su cui proiettare le avventure delle quattro ninfette in calore, il film potrebbe finalmente cominciare. Invece non succede nulla di tutto ciò: niente approfondimenti sociologici sulla cultura delle vacanze studentesche americane perché inizia un altro film che fa virare la sceneggiatura dal fastidioso ambito da film collegiale visto e stravisto a una scimmiottatura di gangster movie con bulli e pupe aggiornati alla modalità dei tempi correnti. Finite in gattabuia a seguito di una retata da parte della Polizia che ha finalmente pensato fosse opportuno fare irruzione in uno dei tanti alberghi dove la coca prevarica quantitativamente anche l’aria stantia che si respira, le quattro bellezze (in bikini anche dietro le sbarre) vengono rimesse in libertà da un malavitoso locale che si invaghisce della loro (dice lui) purezza di silfidi avviate verso l’abisso e si fa garante pagandone la cauzione.

Alien (questo l’ingenuo nomen omen del gangster che le ha salvate e cui presta corpo e faccia un irriconoscibile e imbarazzante James Franco con dentatura in metallo da villain di James Bond), rapper con istinti criminali assai sviluppati come tutti gli altri guappi che fanno da tappezzeria antropologica alla zona, capisce che almeno tre delle quattro sbandate sono (s)fatte della sua stessa pasta e le plagia al punto da trascinarle in un vortice perverso nel quale il delirio di potenza (vuole conquistare la città sbarazzandosi di un ex compagno di merende che la controlla con la sua gang) va a braccetto con lo spregio di ogni regola del vivere civile.

Coinvolte dal loro anti-mentore in una serie di azioni di guerriglia urbana che farebbero impallidire Totò Riina, due delle quattro preferiscono togliersi dall’umido lasciando che le due rimaste resistano quanto basta per rendersi protagoniste di un finale che nelle intenzioni di Korine vorrebbe forse essere un omaggio al Sam Peckinpah de Il mucchio selvaggio, ma che di fatto è solo l’apoteosi del nonsense che ne caratterizza in negativo buona parte.

Diretto da Harmony Korine, enfant prodige autore della sceneggiatura di Kids di Larry Clark e già chiacchierato regista di titoli controversi quali Gummo e Mister Lonely, più che un film Spring Breakers è un grave incidente di percorso nel quale è difficile dire se l’arroganza della presunzione sia superiore alla mediocrità degli esiti. Raccontando un’epopea in costume da bagno tutta rapper sfigatissimi e coi denti di metallo, stereotipi stantii di feste all’ultimo sballo in cui tutto è un po’ falso e posticcio, il film ha forse l’ambizione di partenza di offrire al pubblico uno spaccato della generazione venuta su a base di MTV e videogame offrendo così una rilettura in senso criminale dell’American Dream com’è per gli adolescenti USA dei giorni nostri. Il tutto seviziando il pubblico con inutili spezzoni di cinema verità girati con frenetiche camere a mano mai veramente giustificate dal racconto e con al posto della colonna sonora un’ora e mezzo di disturbo acustico a base di  hip hop da bassifondi del degrado che dovrebbe fare da basso continuo pseudo-culturale alle gesta dei protagonisti, ma che invece alla lunga finisce con l’infastidire.

Smodato nell’ambizione di diventare film di culto circonfuso dall’alone di sinistro malessere che ammanta sempre i prodotti maledetti perché rigettati dai perbenisti che non ne vogliono accettare la ferocia descrittiva, Spring Breakers è forse qualcosa di molto più semplice e banale: considerando che una delle quattro ninfette con la pistola è la moglie ragazzina del regista e che le sue tre compari sono ex dive dei canali TV della Disney (qui “usate” apposta in evidente contrasto di modelli referenziali per dare altro fiato alla fanfara dello scandalo programmato), il vero obiettivo del film è forse quello di spogliare e guardare voyeuristicamente queste ragazzine per novanta minuti, spacciando per perversione malata di una società in irreversibile declino quelle che sono soltanto fantasie pruriginose usate come specchietto per le allodole.

Vietato ai minori di 14 anni sia per il turpiloquio che per le scene crudamente diseducative che (per lo meno in teoria) vengono mostrate, Spring Breakers dovrebbe essere in realtà vietato a qualsiasi età per eccesso di bruttezza e di certo non resterà nella memoria di pubblico e critica per quello che avrebbe voluto essere. Ovvero un ritratto polemico e crudo dei giovanissimi dei giorni nostri, pronti a barattare il proprio futuro per un presente hic et nunc all’insegna del peggio a patto che prometta svago fisico e mentale da ottenere senza il minimo sforzo. Se tra qualche anno ne resterà traccia, sarà invece per via di alcune sequenze così infelici e involontariamente grottesche da meritare un posto nella storia del cinema.

Trama

Decise a vivere al massimo l’esperienza della vacanza primaverile pur non avendo i soldi per potersi permettere una settimana al sole della Florida, quattro universitarie si autofinanziano il tutto rapinando un fast food e raggiungono così la Florida, paradiso in terra dello sballo istituzionalizzato. Arrestate dopo l’ennesima notte di bagordi, vengono rilasciate grazie all’intervento di un gangster locale che paga la cauzione per loro. In cambio le trascina però in un vortice a base di droga, sesso e violenza delirante destinato a un esito tragico.


di Redazione
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