Spider
Da Spider arriva una conferma. Più che il regista dell’incubo biomeccanico, delle metamorfosi biologiche, dell’ambiguità (comportamentale) e dell’ambivalenza (sessuale), David Cronenberg è forse l’autore contemporaneo che sa rappresentare meglio l’interiorità umana, sia come espressione patologica del corpo mutante che come proiezione mentale dei peggiori deliri. Se, come scriveva Deleuze (filosofo caro a Cronenberg), il corpo non è più l’ostacolo che separa il pensiero da se stesso, ma è ciò in cui il pensiero sprofonda per raggiungere le manifestazioni più impensate della vita, allora in Spider viene messo in scena il procedimento esattamente contrario: si parte dalla vita più misera e messa ai margini (il protagonista vive quasi ad uno stato primario, non sembra avere vie di uscita) per risalire poi i labirinti del pensiero umano.
Come sempre, Cronenberg riesce a rappresentare qualsiasi cosa, dalla più banale alla più sofisticata, come fosse un organismo vivente: in Spider c’è qualcosa di più, perché a vivere e prendere forma sotto i nostri occhi è l’ossessione del protagonista a reinventare un passato che dovrebbe invece mantenere lontano. Appena dimesso da un manicomio, il protagonista (Ralph Fiennes) ritorna nei luoghi dove ha vissuto la sua infanzia, tutta trattenuta tra il ricordo della madre, morta troppo presto, e l’odio per la donna venuta troppo presto a sostituirla nel letto del padre. Come da manuale clinico, la madre è una presenza binaria (i due ruoli sono interpretati dalla stessa attrice, Miranda Richardson) e per il figlio è, di volta in volta, una figura solare e protettiva, e una volgare puttana capace di risvegliare i desideri più irresistibili.
Le allucinazioni del personaggio, prima bambino, poi adulto, creano una rete di immagini e atmosfere vagamente ipnotiche, che si inseguono e sovrappongono, una tela di ragno delle false sembianze, in cui la verità si confonde alla menzogna, e l’amore si traduce nell’omicidio. C’è sempre lucidità e pessimismo nella follia raccontata da Cronenberg. Nei suoi film gli uomini ricadono sempre in ciò che vogliono evitare, e le linee di fuga si trasformano, ogni volta, in derive di morte e autodistruzione.
Spider è raggelante e livido come un referto clinico, e con il suo ritmo dilatato respinge lo spettatore e insieme lo attrae. Spider non rappresenta una patologia, racconta una parabola, addirittura una condizione esistenziale. Ma questa capacità è la dote più alta di Cronenberg, quando è in stato di grazia.
di Piero Spila