Sotto falso nome

Verità e menzogna corrono sullo stesso filo che li lega indissolubilmente senza, apparentemente, alcuna possibilità di staccarsi, emergere, lottare. Ad armi pari dentro un segreto che arriva fino alle estreme conseguenze del caso, buttati lì, da un soffio di vento che suggella la risoluzione dell’enigma. Roberto Andò, con Sotto falso nome prosegue il percorso psicoletterario iniziato con Il manoscritto del principe, rapportandosi questa volta con un genere piuttosto inusuale per l’Italia: il noir. Genere che il regista palermitano, trasferisce in terra francese dove sono chiari i riferimenti letterari e cinematografici (Chabrol in testa), assenti invece nel nostro paese.
Daniel Boltanski scrittore di fama mondiale, si nasconde dietro uno pseudonimo, Jerzy Novak con il quale assume un aspetto di mistero e fascino. Un giorno si reca a Capri per assistere al matrimonio del figlio della moglie Nicoletta. La sera prima è coinvolto in una fugace storia d’amore con un’affascinante ragazza, che in realtà… Un noir che nella sua immediata architettura, lascia trapelare sin dall’inizio quella che sarà la risoluzione finale, cosa che naturalmente non limita la bellezza dell’esperienza che lo spettatore vive in quel momento. Andò si concentra principalmente sui risvolti psicologici dei personaggi, sul crescendo di questo segreto già attuato sin dall’inizio. La verità non è un’esperienza facile da occultare, pronta ad emergere oltre ogni confine fisico e temporale. L’attività dello scrittore Boltanski/Novak prima filtrata da ogni riferimento autobiografico, ora inverte la rotta presentandosi sotto il paradigma Novak/Boltanski. Una precisa traslazione dove i due elementi dati, scrittore e alter ego, si fondono, mutano nel rapporto con l’esterno, attraverso una disarmante sensualità della morte e del caso apparente. In realtà lo spettatore assiste alla scrittura in diretta di un nuovo manoscritto, dove i personaggi via via presentati, vengono risucchiati dentro la pagina bianca.
Un po’ farraginoso nello sbrogliare l’intera matassa, nella complessità della sceneggiatura (dove parte e arriva il rapporto con il figliastro, dove ha origine l’amore all’interno di questa nuova famiglia?), ma capace di colpire con la macchina da presa qualsiasi dettaglio mobile,Sotto falso nome, ci racconta di una verità nascosta nel suo doppio. Qui lo specchio, pur continuando a partecipare a tutto il film (riflessi nelle vetrate di casa, nello specchietto retrovisore, nel bagno), si frantuma pezzo dopo pezzo, lasciando aperta una nuova dimensione dello sguardo, scevro da ogni indicibile sentimento e ragionevole dubbio, deformato e bagnato da una pioggia battente di lacrime e speranza. Ma la verità alla fine serve veramente a restituire la giusta posizione alle cose?
di Davide Zanza