Song to Song

Diversamente da quanto accaduto nel lungo arco di tempo che va da Badlands (1973) a The Tree of Life (2011) – durante il quale la produzione malickiana, esigua ma preziosissima, ha esibito evoluzioni e mutamenti continui senza tuttavia mai perdere coerenza – negli ultimi anni il cinema del regista texano sembra essersi cristallizzato entro determinati stilemi e scelte estetiche che sono, chiaramente, filiazioni dello stesso The Tree of Life (preannunciate già, se vogliamo, ne La sottile linea rossa). Mettendo da parte Voyage of Time – che, come è noto, si sviluppa su tutt’altro piano anzitutto per quello che riguarda la tematica affrontata – i più recenti film di Malick (To the Wonder, Knight of Cups e Song to Song) presentano infatti una sostanziale identità tanto nella raffinata ricerca formale quanto nelle intenzioni espressive e comunicative che ne stanno alla base.

I presupposti restano essenzialmente gli stessi: l’indagine è rivolta anzitutto al linguaggio cinematografico, e solo in un secondo momento alle specificità chiamate in causa di volta in volta della vicenda messa in scena. To the Wonder era una riflessione visivamente fascinosa e accattivante, sebbene solo in parte risolta, sul sentimento amoroso e sulla reciprocità in senso lato; in Knight of Cups, al contrario, lo sguardo del regista era tutto proiettato all’interno del sé, per interrogare – sempre – filosoficamente e criticamente l’esistenza come percorso, spesso ombroso e ingannevole, di crescita ed evoluzione. Song to Song, che intreccia le vicende di quattro personaggi sulla scena musicale di Austen, è il terzo tassello di questa possibile trilogia (di cui Radegund, di prossima uscita, potrebbe essere l’eventuale prosecuzione o forse, chissà, inaugurare una nuova fase). Anche qui, dunque, la visione è costantemente frammentata e smembrata, la narrazione disciolta e disarticolata; l’esaltazione poetica del paesaggio – naturale e urbano – e l’attenzione ai valori luministici, così come la preminenza accordata alla voce fuori campo e alla densa, ricchissima colonna sonora, restano immutate.

Se esiste, in Song to Song, una differenza – non sostanziale però – rispetto agli ultimi film di Malick, sta fondamentalmente nel grado di approfondimento dei personaggi: non più residuati fugaci di un’idea, di un senso o di un modo dell’essere (come Neil e Marina in To the Wonder, definitivamente appiattiti sui principi oppositivi maschile e femminile) sembrano ritrovare qui la loro peculiare individualità inscritta e palesata negli scarti – morali, affettivi – che si vengono a creare tra loro.

Pur senza manicheismi e facili schematizzazioni, Malick descrive infatti un’anima nera – il produttore Cook (Michael Fassbender), cinico, sprezzante, disonesto – e un’anima candida – la cameriera Rhonda (Natalie Portman), che in quanto tale non può che essere la vittima designata di Cook, che la illude e infine la annienta. Ma il cuore pulsante di Song to Song è Faye (Rooney Mara), aspirante cantautrice che divide il suo amore tra Cook – sperando di ottenere qualcosa in cambio – e BV (Ryan Gosling), che come lei è arrivato ad Austen nella speranza di fare del suo talento musicale una professione. Quella di Faye, indecisa e volubile, è una scissione realisticamente dolorosa, mentre quello di BV è un affetto che, seppure in parte ondivago, è certamente sincero.

E’ da questo fitto intreccio di tensioni e attrazioni che il regista prende le mosse per costruire una riflessione sulla complessa ambiguità dei sentimenti e sulle perverse dinamiche che accompagnano il successo e il potere, contrapponendo infine la vacuità di un mondo ammaliante ma tutto chiuso su se stesso alla bellezza pura e all’integrità di una vita più semplice, che risolve infine, per forza di cose, in un riavvicinamento alla natura.

Come tutte le opere malickiane, Song to Song è un film meraviglioso e ipnotico in cui ogni movimento di macchina è un passo di danza. Nessuno come Malick riesce a fotografare così perfettamente la grazia e l’incanto di un gesto spontaneo, di uno sguardo, di un gioco di seduzione, di un ballo improvvisato nel chiuso di una stanza. E basta una manciata qualunque delle scene caleidoscopiche e magnetiche di Song to Song – l’esplorazione di un sottopassaggio buio e allagato o di una maestosa piramide mesoamericana – per ricordarci fin dove possono arrivare la potenza e la fascinazione del cinema.

Tuttavia, non si può negare che la quasi totale sovrapponibilità di quest’ultima opera rispetto alle precedenti rappresenti un momento di stasi nel percorso autoriale di Malick. Di conseguenza, la cosa migliore che si può augurare a Radegund – storia di un disertore nell’Austria nazista – è di offrire al regista l’occasione di percorrere ed esplorare territori nuovi e diversi.

Trama

L’aspirante musicista Faye inizia una relazione con il produttore Cook sperando che questo le apra le porte per una scalata al successo. Ma visto il suo carattere ombroso e cinico gli preferisce presto BV – come lei aspirante musicista – i cui sentimenti sono onesti e sinceri. Le segrete ambiguità del rapporto tra musicisti e produttore non si appianano neppure con l’entrata in scena di Rhonda, una ragazza ingenua e graziosa che malauguratamente si innamora di Cook.


di Arianna Pagliara
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