Sils Maria

In concorso a Cannes 2014, dove ha ricevuto una nomination per la Palma d’Oro, Sils Maria è una densa e incisiva riflessione sul tempo che passa, sull’accettazione del cambiamento (del proprio corpo, del propri pensiero, del proprio ruolo), sul confronto tra passato e presente. Il regista Olivier Assayas costruisce il suo film a partire da una serie di giochi di specchi, in cui i suoi personaggi cercano e trovano il proprio doppio dentro e fuori la scena. La storia è infatti quella di un’attrice affermata – Maria Enders – che sta studiando il ruolo che di lì a poco la vedrà impegnata a teatro. Un ruolo che mano a mano la porterà a scoprire di sé e della propria vita più di quanto avrebbe mai immaginato.

Reiterazione, duplicazione e sovrapposizione sono le coordinate metacinematografiche entro le quali la storia prende forma. Tuttavia quello di Assayas non è uno sterile divertissement, quanto un valido schema, un tracciato funzionale ad avvicinarsi al nocciolo del suo discorso con movimenti progressivi, precisi, studiati, eleganti.

La protagonista è un’eccellente Juliette Binoche che catalizza, quasi in ogni scena, l’attenzione su di sé, disinvolta e partecipe nel ruolo della Enders, attrice matura che è consapevole e sicura delle proprie doti indiscusse, ma già intimamente tormentata dall’incalzante, ineluttabile trascorrere del tempo. A fianco a lei, la giovane Kristen Stewart – idolo degli adolescenti poiché protagonista della serie Twilight – si dimostra più che all’altezza del ruolo affidatole da Assayas nei panni di Valentine, efficiente e premurosa assistente personale di Maria, pronta a seguirla come un’ombra e ad essere la sua spalla e la sua confidente, con un istinto quasi protettivo nei suoi confronti. Sono loro due a contendersi – con ottimi risultati – l’inquadratura, sia per la loro carica espressiva e comunicativa (più enigmatica e sfuggente Valentine, più esplicita e sopra le righe Maria) sia per il rapporto che le lega. Il copione che sta studiando Maria infatti la vede nel ruolo di Helena, donna matura che si lascia sedurre dalla sua giovane dipendente Sigrid, che poi finirà per abbandonarla senza alcun rimorso. Maria fa fatica ad immedesimarsi in un personaggio che al principio non ama, e che sente come debole e vulnerabile, annientato dalla sfrontatezza di Sigrid che, come è ovvio, ha dalla sua tutte le armi della giovinezza. Ma soprattutto, ed è questo il cuore del problema, Maria venti anni prima ha debuttato con successo proprio nel ruolo di Sigrid in una versione cinematografica della medesima pièce. Passare dall’altra parte, da quella di Helena, vuol dire, a conti fatti, riconoscere di essere invecchiata.

L’attrice si è rifugiata a studiare la parte tra le montagne nevose di Sils Maria, proprio dove in origine la sceneggiatura è stata scritta. Maria e Valentine passeggiano lungo i sentieri montuosi mentre provano e riprovano instancabilmente: Maria è ovviamente Helena, mentre la bella Valentine, per aiutarla nel suo lavoro, legge le battute di Sigrid. La sovrapposizione tra Valentine e Sigrid viene da sé, e si palesa soprattutto quando la ragazza, nonostante l’intima amicizia che la lega all’attrice, inizia a mostrasi insofferente e ipotizza di lasciare il suo lavoro di assistente. Di pari passo al mutare del loro del legame (che si fa ambiguo e carico di sottintesi) si attua anche una chiara trasformazione fisica di Maria, che il regista fa apparire sempre più mascolina nei suoi completi in giacca e pantaloni e con un taglio di capelli che, se da un lato la ringiovanisce, dall’altro non ne accentua la femminilità.

Nel frattempo, le due donne conoscono la giovane Jo-Ann, che quasi come la Stewart nella realtà è un’attrice nota essenzialmente a un pubblico di teen-ager per i suoi ruoli tra il cartoonesco e il fantascientifico. Sarà lei a interpretare la seduttrice Sigrid a teatro, accanto a Maria. Poco più che una ragazzina, Jo-Ann è audace e disinibita, ora adulatrice (al principio, con Maria) ora cinica e quasi sprezzante (nel finale del film, ancora con Maria).

Sullo sfondo delle vette alpine, dove un serpente di nubi (quelle del titolo originale) che preannuncia il maltempo si muove sinuoso tra le creste montuose (il cosiddetto serpente del Maloja), Maria Enders percorre un ripido sentiero dentro se stessa che la porterà, infine, all’accettazione pacificata e consapevole del trascorrere del tempo, e delle metamorfosi che questo porta inevitabilmente con sé.

Senza le performance – solide, corpose, strutturate – tanto della Binoche quanto della Stewart, Sils Maria non avrebbe avuto il peso e la compattezza che invece può sfoggiare, soprattutto perché è, essenzialmente, un film molto recitato, parlato, perfino verboso. La ridondanza dei dialoghi è tale non in senso assoluto – poiché essi sono, oltre che ottimamente articolati, in un certo senso necessari – ma lo è rispetto alle immagini che, seppure spesso suggestive (come i paesaggi alpini) vengono in ultimo, ingiustamente, quasi relegate a sfondo. Paradossalmente, ciò che si fa elemento peculiare e distintivo del film sta proprio nel non detto e non mostrato: la relazione tra Maria e Valentine, che sventa all’ultimo il rischio di risultare banalizzata e prevedibile grazie al sottile tocco di Assayas che spinge molte cose fuori campo lasciando invece spazio al mistero, alla suggestione, a ciò che è solo suggerito e mai palesato; le significative scene finali, che lasciano trapelare – in un istante – dal volto e dall’atteggiamento della Binoche la soluzione agli interrogativi, alle tensioni, ai dubbi che hanno preso forma lungo tutto il corso del film.

Trama

Un’attrice affermata è chiamata a lavorare in una pièce teatrale che venti anni prima aveva interpretato per il cinema. Ma se in passato il suo ruolo era stato quello della giovane seduttrice, ora dovrà essere colei che viene sedotta, una donna matura pronta a gettare via tutto per un amore non corrisposto.


di Arianna Pagliara
Condividi