Sieranevada

Ci sono quantità di oggetti accumulati dappertutto, nell’appartamento che fa da ambientazione principale di Sieranevada di Cristi Puiu, presentato in concorso al Festival di Cannes nel 2016. Libri e frullatori, scatole e disegni di bambini, scatoloni e brutti quadri, tutto lo spazio disponibile è occupato da cose accatastate in una vita e che molto di quella vita servono a raccontare. Soffoca e sottilmente seduce la casa del defunto dottor Emil, così come sono soffocanti e al tempo stesso accattivanti i suoi molti familiari e amici che si riuniscono per commemorare i quaranta giorni della scomparsa. L’eccellente scenografia di Cristina Barbu è essenziale per fare entrare lo spettatore nella dimensione claustrofobica, dove molti personaggi, seguiti da vicino (volutamente anche troppo vicino) dalla macchina da presa si muovono, aprono porte, fumano sigarette, bevono vino, si stuzzicano, si insultano, spiluccano cibo, sempre aspettando il momento di mettersi finalmente a tavola. Le dinamiche familiari (e le stesse parentele) si svelano poco a poco, attraverso gli oggetti più semplici e quotidiani e le discussioni più banali.

Lary, medico appena passato a un mestiere più redditizio, sembra guardare con disincanto gli altri membri della famiglia. Tollera con pazienza le sfuriate della moglie Laura, fa quello che può per la salute della madre Nusa, prende in giro il giovane cugino Sebi fissato con il complottismo (specialmente per quanto riguarda l’11 settembre), assiste divertito alle discussioni fra la sorella Sandra, monarchica e un po’ isterica e la zia Evelina, rimasta fedele agli ideali del comunismo e sgomento alle drammatiche liti fra la fragile zia Ofelia e il poco affidabile marito di lei, Toni. Lary vorrebbe soprattutto mangiare, perché il rito dei quaranta giorni prevede un pasto abbondante e i piatti sono tutti pronti da un pezzo. Ma prima il prete incaricato della commemorazione funebre non arriva, poi l’arrivo della nipote Cami con una amica ubrica fradicia mette in subbuglio tutti, quindi esplode la preoccupazione per la salute di Ofelia, provata dall’alcool e dalla deludente vita familiare con Toni. Il tempo passa, il vino scorre, le conversazioni spaziano fra passato e presente, finché anche Lary mostra il suo lato umano e fragile, rivelando dolorosi segreti di famiglia a una moglie con cui sembra ritrovata la complicità nonostante i continui battibecchi.

Graffiante, avvolgente, inventivo, il film di Cristian Puiu è un’esperienza cinematografica forte e originale. Ma non mette a segno tutti i suoi bersagli. Il tentativo di riflettere sulla Romania contemporanea, a partire dalle discussioni sul passato (il ruolo della monarchia, il comunismo, gli abusi della dittatura di Ceausescu) finisce per risultare superficiale e incompleto. Più riuscita è la rappresentazione dei (difficili) rapporti familiari; però anche in questo caso il film finisce per scontare l’accumulo di personaggi e situazioni e il loro mancato approfondimento psicologico. La lunghezza, inoltre, risulta eccessiva e punitiva per gli spettatori: siamo forse in presenza dell’equivoco per cui film d’autore debba per forza risultare noioso per essere credibile. Sieranevada è un film curioso e dal forte segno registico, con attori molto bravi, dialoghi indovinati e personaggi che coniugano normalità e bizzarria, ma finisce per mettere troppa carne al fuoco e per crollare in parte sotto il peso delle sue troppe pretese.

TRAMA

Una famiglia di Bucarest si riunisce per la rituale commemorazione dei quaranta giorni dopo la scomparsa dell’anziano Emil. Nel piccolo e soffocante appartamento si intrecciano discorsi su storia e politica, si litiga, si preparano montagne di cibo, ma non si riesce mai a mangiare, prima perché il prete non arriva mai, poi perché succede sempre qualcos’altro che impedisce di riunirsi a tavola.


di Anna Parodi
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