Sicario

Quasi cinquantenne, una ventina d’anni di attività, ma con soli 7 lungometraggi all’attivo, il canadese ormai professionalmente statunitense Denis Villeneuve godeva di una certa attenzione critica – e di un bel po’ di premi raccolti – quando all’ultimo festival di Cannes presentò Sicario. L’attenzione critica in quell’occasione parve però svanire in omaggi di circostanza come per una promessa non mantenuta. Questione di punti di vista: se ci si aspettava la prosecuzione di un’attività improntata all’etichetta di “thriller d’autore” che gli era stata affibbiata da alcuni, allora l’aspettativa era andata in effetti delusa; a mente sgombra però di tale preconcetto ci si sarebbe accorti che l’unica etichetta possibile per Sicario era ed è “cinema in purezza”.

L’autorialità della lentezza, dei silenzi, dell’azione quasi azzerata (tratti salienti del genere che si contrappone a tutti gli altri) è qui assente, se non talvolta per supportare in maniera efficace, cioè con forte motivazione narrativa, quanto è messo in scena: come nella penultima sequenza, quella in cui si compie il rito finale della vicenda, quella che non si può riferire a chi non ha visto il film.

Forte presenza è dunque una visione incalzante di personaggi e fatti narrati, visione come personale modo di vedere, ma anche vedere fisico di quanto circonda i personaggi. Che sono tre, più parecchi altri con funzione di coro, anzi di due cori: uno che agisce intorno ai tre personaggi principali, l’altro composto dai mandanti della loro azione. Il disinvolto capo di una missione della CIA per intervenire sul traffico di droga tra Usa e Messico (Josh Brolin), un ambiguo consulente (Benicio Del Toro) e un’agente FBI con funzione di “controllo” (Emily Blunt) sono le figure centrali del film di Villeneuve, e i rapporti tra loro sono naturalmente la struttura portante che sua volta ruota intorno al modo col quale gli Stati Uniti – o quanto meno una sua espressione – intervengono per mantenere un’ “ordine” che l’agente FBI dovrebbe in qualche modo avallare con la sua presenza, mentre lei è invece di tutt’altra opinione.

Questo conflitto non è certo inedito, ma acquista nuova originalità grazie a Villeneuve. Basterebbe il modo in cui presenta i personaggi: per prima la Blunt al comando di una squadra che fa irruzione nella casa in cui si presume si trovino individui sospetti di un rapimento. L’asciuttezza, la precisione, ma anche l’umanità, seppur professionalmente controllata, che contrassegnano questa prima sequenza del film accompagnano davvero lo spettatore in una sorta di incubo che i tanti cadaveri murati in quella casa tratteggiano con nettezza visiva, pari all’incalzare del coinvolgimento sonoro scandito su una musica che dà sviluppo ai rumori di fondo, a cominciare dal battito cardiaco. Anche gli altri due personaggi entrano in scena in maniera originale: il capo missione addirittura in sandali in una riunione di capi seriosissimi, mentre il consulente Del Toro con un atteggiamento incupito e contratto che lascia intendere qualcosa oltre l’aspetto esteriore. E infatti scopriremo che un terribile antefatto nella sua vita privata-professionale lo ha fatto diventare sicario cinico e spietato.

La Blunt insomma sembrerebbe la più normale dei tre, di una normalità però che sarà messa dura prova dai fatti che l’aspettano. La sua fermezza idealista e morale verrà messa in gioco quando azzarderà una parentesi della vita privata che pareva avere messo da parte. La dimensione personale si rivelerà poi decisiva nel personaggio di Del Toro, nella migliore tradizione narrativa che vuole i fatti della collettività segnati da quelli privati.

L’alta prova d’attori – della protagonista soprattutto, che pure non è una stella di prima grandezza – è quasi interamente debitrice della costruzione registica, capace di dare energia nuova anche a ciò che nuovo non è, come lo spostamento di una carovana di auto in una zona desertica. Ma davvero dove Sicario giustifica e perfeziona la sua ragione d’essere è nel conseguire un esito anche ideologico con la forza della messa in scena senza essere assunto preesistente e condizionante.

Trama

Una giovane agente FBI, già alla guida di una squadra, viene convocata da una task force governativa per partecipare ad una missione speciale contro una potente organizzazione dedita allo spaccio della droga nella zona di confine tra Stati Uniti e Messico. Lei accetta e si mette così al seguito della squadra comandata da un agente speciale di spietata efficienza e da un cupo consulente esterno. La funzione di osservatrice dell’agente FBI verrà messa a dura prova con conseguente turbamento personale e professionale.


di Massimo Marchelli
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