Totem – 26a Settimana Internazionale della Critica

Una ragazza forse straniera, Fiona, viene assunta come collaboratrice domestica e bambinaia da una famiglia borghese della Ruhr, i Bauer: padre, madre, una figlia adolescente che frequenta un ragazzo molto più grande di lei, un bambino piccolo. La vita quotidiana scorre apparentemente normale, tra la piscina, i pasti consumati insieme, l’ozio in giardino, le brevi passeggiate. Regole e rituali ben precisi la scandiscono. La disciplina viene imposta e ribadita di continuo. Ma ben presto prendono forma le nevrosi e le angosce dei singoli e i ruoli non sono più così chiari, i confini non più così netti. In particolare la madre, che vive male l’arrivo precoce della menopausa, scarica la sua frustrazione e la sua rabbia allevando due bambolotti come fossero veri neonati, mentre l’uomo, spesso assente per lavoro, nutre per Fiona un interesse morboso sempre più evidente e pericoloso.

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La recensione di Mariella Cruciani

Il titolo (“Totem”) del film d’esordio di Jessica Krummacher non fa riferimento, come si potrebbe pensare, a “Totem e tabù” (1913) di Freud ma è stato scelto perché contiene in sé il termine tedesco che vuol dire “morte”. Protagonista della pellicola è Fiona (Marina Frenk), ventenne forse straniera e dall’identità labile, assunta come collaboratrice domestica dai Bauer, famiglia borghese della Ruhr, composta da madre, padre, una figlia adolescente e un bambino piccolo. Spazio e tempo non sono importanti: l’azione, meglio la non-azione, si svolge nella casa dei Bauer che presenta tutte le caratteristiche di un non-luogo. La voce off di Fiona, ad un certo punto, commenta: “Le stanze tengono fuori il tempo. Siamo tutti spaventati che il futuro non esista, come Babbo Natale”. La residenza dei Bauer è una sorta di grande gabbia in cui i protagonisti, alla stregua di animali rinchiusi, possono muoversi ma non possono uscire. In questa situazione claustrofobica ed opprimente, la tensione alimenta se stessa, montando sempre più: i vari personaggi sembrano sul punto di esplodere da un momento all’altro. Fiona, con il suo atteggiamento passivo, porta alla luce ed esaspera le nevrosi latenti di ognuno: la frustrazione della madre che alleva due bambolotti come fossero neonati veri, l’insofferenza del padre, la solitudine della figlia, la rabbia del piccolo Jurgen. Il dialogo tra i membri della famiglia e la ragazza avviene, non con le parole, ma non il corpo: abbracci inattesi e spinte furiose segnano l’avvicinarsi o il respingersi delle diverse figure. La comunicazione è difficile anche così ma, quando cercano di esprimersi con le parole, tutti risultano, più che mai, estranei l’uno all’altro. Come gli scorpioni che, circondati dal fuoco, si tolgono la vita da soli, così Fiona sceglie di autosopprimersi e, prima di farlo, commenta: “Non ho mai saputo cosa volevo. Non lo so nemmeno adesso”. In realtà, a dispetto della sua affermazione, la ragazza è, almeno rispetto ai Bauer, l’unico essere dotato di un briciolo di autocoscienza, come provano i suoi monologhi interiori, i suoi gesti, i suoi sguardi. La regista tedesca pare identificarsi totalmente con  il suo personaggio ed utilizzarlo per un atto d’accusa, senza appello, contro la famiglia media borghese. Un’opera prima volutamente asfissiante e angosciante nella quale il soggetto principale, Fiona, pur vittima di umiliazioni e angherie, non è mai solo puro oggetto. Ha concluso, al riguardo, Jessica Krummacher: “Non volevo solo raccontare qualcuno che non c’è più ma qualcuno che aveva molto da dire. Questa è la speranza del film!”

Mariella Cruciani

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È ispirato a una storia vera il film di diploma della talentuosa autrice tedesca Jessica Krummacher, anche produttrice, sceneggiatrice e montatrice di questo stringato e asfissiante atto d’accusa contro la famiglia borghese e le sue claustrofobiche geometrie che potrebbe far pensare a Teorema (1968) di Pier Paolo Pasolini se non fosse che in questo caso è lo straniero, il corpo estraneo, a soccombere, mentre l’organismo che l’ha fagocitato e smembrato si ricompone nella sua nevrotica routine dopo averlo espulso. C’è invece molto della lezione del cinema austriaco contemporaneo (più Ulrich Seidl che Michael Haneke) ma la crudeltà della visione è sempre riportata a un universo di riferimento in cui il soggetto non diventa mai puro oggetto. Dunque una rappresentazione attenta al più piccolo dettaglio ci restituisce la giovane Fiona con le sue contraddizioni e le sue fragilità: una ragazza sola, sensibile, un po’ mitomane, passiva, che vorrebbe reinventarsi un’identità lontana dalla sua famiglia (si dichiara orfana ma poi parla al telefono con la madre). Vittima di soprusi e umiliazioni che non sa o non può schivare in quanto “totem” vivente del gruppo è spinta inesorabilmente verso il suo destino nella più generale indifferenza.

(Cristiana Paternò)

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Jessica Krummacher, nata e cresciuta a Bochum nella Ruhr, vive attualmente a Berlino. Ha studiato documentaristica e giornalismo televisivo alla Hochschule für Fernsehen und Film di Monaco di Baviera e Totem è il suo film di diploma. Già dal 2006 ha fondato la sua casa di produzione che ha prodotto l’opera prima di Timo Müller Morscholz, vincitrice del Förderpreis Deutscher Film für die beste Regie.


di Redazione
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