Sky Peals

La recensione di Sky Peals, di Moin Hussain, a cura di Francesco Ruzzier.

Nel cuore della notte lo squillo di un telefono rompe il silenzio. Nessuno risponde e si attiva la segreteria telefonica: “Spero tu stia bene. Sono tuo padre. Chiamo solo perché non sono troppo lontano e mi piacerebbe incontrarti. Vorrei parlare con te. So che è passato molto tempo, ma ti prego di richiamarmi. Non rimarrò nei paraggi ancora a lungo”. Adam ascolta e riascolta questo messaggio ossessivamente. Una voce estranea, lontana, ma al tempo stesso intima e familiare. Adam fa i turni di notte nel fast food di in una stazione di servizio autostradale e conduce una vita solitaria, quasi priva di rapporti umani. Di suo padre aveva ormai perso le tracce: non sa praticamente nulla di lui. Inizia così a ricostruirne l’immagine, riesaminando dettagli di un passato che fa difficoltà a comprendere. Scopre che era convinto di non essere umano e che è morto poco dopo quel messaggio lasciato nel cuore della notte.

Sky Peals è un film che prova a ridefinire i concetti di verità, identità e immagine in un mondo in cui questi tre elementi hanno ormai perso valore. Ambientato in non-luoghi, immerso in una dimensione allucinata e fuori dal tempo, l’esordio di Moin Hussain trascina lo spettatore in una quotidianità indecifrabile. Quella raccontata dal regista londo-pachistano è una realtà in cui non si può far altro che restare inermi a osservare immagini senza capirne il significato. Il protagonista viene infatti chiamato a interpretare segni e messaggi alien(ant)i per trovare da zero le coordinate di un mondo che sembra aprirsi davanti ai suoi occhi per la prima volta. È l’impossibile ricerca di un’identità nell’era della post-verità, dove tutto è iperframmentato e manipolato; dove anche il passato ha perso la dimensione lineare della storia già scritta.

Nel suo stato perennemente allucinato, Sky Peals sembra suggerire che per trovare la consapevolezza di sé sia necessario costruire una propria idea di verità, provando a far convivere assieme pezzi di un puzzle che quasi mai combaciano ad un primo sguardo. Moin Hussain prova in questo senso ad ampliare i confini del reale, trovando nella rielaborazione di alcuni stilemi della fantascienza l’unica possibile chiave di lettura dell’immagine, e quindi dell’esistenza, contemporanea.


di Francesco Ruzzier
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