Razred sovražnik (Class Enemy/Nemico di classe)

Il rapporto tra il nuovo professore di tedesco e i suoi studenti si fa sempre più teso a causa di un’incolmabile differenza fra i loro modi di intendere la vita. Quando una studentessa si suicida, i compagni accusano l’insegnante di essere responsabile della sua morte. La realizzazione che non tutto è bianco o nero arriverà troppo tardi.

Un film tutto chiuso dentro un istituto scolastico che diventa un microcosmo della società. L’arrivo del professor Zupan, al posto dell’insegnante di tedesco Nuša che va in maternità, destabilizza una quarta superiore. Al posto di una docente comprensiva ne subentra uno rigido, severo, impassibile, in apparenza duro, che vuole “creare persone”. Quando la timida Sabina si suicida, il giorno dopo un duro colloquio con il professore dal quale era uscita in lacrime, i compagni accusano Zupan di esserne la causa. La ribellione in classe cresce fino alla resa dei conti, che coinvolge anche i genitori. Un film solido, con una sceneggiatura impeccabile, attori perfetti, con caratterizzazioni molto precise. Una storia sull’adolescenza, con i suoi slanci e le sue contraddizioni, sull’elaborazione del lutto e sulla perdita. Una metafora di una Slovenia incapace di fare i conti con se stessa, refrattaria all’autorità e allo stesso tempo intollerante rispetto ai diversi. Insieme una riflessione sulla scuola, sui modelli educativi, sul ruolo degli educatori, sulla famiglia e anche sul nazismo e ciò che oggi si intende per nazista. Una pellicola che avvolge e coinvolge, dove nulla è di troppo.

Rok Biček nasce nel 1985 a Novo Mesto, Slovenia. Si laurea presso l’Università di Lubiana e entra nel mondo del cinema partecipando a PoEtika, seminario di regia di Janez Lapajne. I suoi cortometraggi – Življenje (Life, 2004), Družina (The Family, 2007), Dan v Benetkah (Day in Venice, 2008), Lov na race (Duck Hunting, 2010), Nevidni prah (Invisible Dust, 2010) – hanno ricevuto premi in numerosi festival. Razredni sovražnik è il suo lungometraggio di esordio.

Note critiche di Mariella Cruciani

Nemico di classe dello sloveno Rok Bicek ricorda moltissimo, per analogia, il film Detachment- Il distacco (2011) diretto da Tony Kaye e interpretato da Adrien Brody. Nella pellicola di Kaye, la storia si svolge in un liceo di una delle tante aree periferiche degli Stati Uniti: il protagonista è un insegnante supplente che instaura un rapporto particolare con un’alunna dotata di una notevole sensibilità e che, alla fine, si suiciderà. Il film di Bicek propone una vicenda simile: qui, il professore si chiama Robert Zupan (Igor Samobar) e la ragazza, sensibile ma depressa, risponde al nome di Sabina (Dasa Cupevski). C’è, però, una differenza fondamentale: il personaggio interpretato da Adrien Brody ha alle spalle un passato doloroso del quale veniamo, pian piano, a conoscenza mentre Zupan resta un enigma fino all’ultimo. Ciò che colpisce più di ogni altra cosa, nella pellicola slovena, è proprio l’imperturbabilità e il distacco del protagonista: Zupan è un uomo freddo, rigido, razionale del quale non sapremo nulla, neanche a film concluso. La vicenda si svolge, salvo il finale, interamente al chiuso, all’interno di un istituto scolastico che fa da sfondo alla sfida irriducibile tra Zupan e la classe. Dopo il suicidio di Sabina, l’insegnante viene, infatti, accusato di essere il responsabile della sua morte e tutti i ragazzi si scagliano contro di lui. L’educazione e la crescita, lo scontro tra le generazioni, il ruolo della scuola e della famiglia sono, dunque, il centro di questo film solido e impeccabile ma il fascino profondo di questa opera prima non è tanto nei temi affrontati quanto nella messa in scena delle dinamiche psicologiche tra il prof e gli studenti.

Zupan, che dichiara  di voler “creare persone”, diventa ben presto il fulcro della situazione scolastica e, come una calamita, attira le reazioni di tutti: in altre parole, è come se il misterioso prof fungesse da valvola di scarico per i suoi alunni, provocando una specie di transfert collettivo. Non a caso, viene in mente, guardando il film, la performance di Marina Abramovic che, per mesi, è stata seduta immobile di fronte ai visitatori del Moma di New York, i quali hanno reagito, alla sua presenza, nei modi più disparati. Ugualmente, Zupan si pone, con il suo stesso essere, come un elemento perturbante, capace di liberare, seppur disordinatamente, la verità dei suoi interlocutori. Così Luka (Voranc Boh), che ha appena perso la madre, tira fuori la sua rabbia repressa mentre Tadej (Jan Zupancic) inizia a fare inquietanti discorsi omofobi. Il film riproduce una sorta di terapia di gruppo, al termine della quale sarà chiaro che i fatti, e i sentimenti, non sono mai netti o definiti ma celano ambivalenze e contraddizioni (“Voi, Sabina, prima, non l’avevate neanche notata!” –  dice la sua amica del cuore ai compagni). Un’opera prima intrigante e intensa, dalla sceneggiatura solida ma aperta: alla fine, lo spettatore, proprio come gli studenti, viene lasciato solo con le domande che il film pone e costretto a cercare in se stesso le risposte.

(Mariella Cruciani)


di Redazione
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