Louise Wimmer – 26a Settimana Internazionale della Critica
Louise Wimmer è una cinquantenne allo sbando. Dopo una vita agiata, a seguito di una dolorosa separazione e al sopraggiungere di una crisi che l’ha lasciata piena di debiti, si ritrova senza più una casa e costretta a dormire in macchina. Il lavoro come cameriera in un hotel non le permette infatti di pagarsi una casa né di far fronte ai debiti accumulati, ma non per questo Louise smette di combattere per un futuro migliore. Così, pur rifiutando l’aiuto di amici e di un amante che le è sinceramente affezionato, saprà trovare in se stessa la forza per costruire una nuova vita.
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La recensione di Mariella Cruciani
“La mia unica parola d’ordine nel dirigere questo film era far sì che Louise afferrasse la nostra attenzione e non la lasciasse andare. Volevo che la sua immagine fotografica, il suo ritmo, la sua musica interiore ne facessero una figura onnipresente”. Così il regista francese Cyril Mennegun si è espresso a proposito dell’eroina della sua opera prima: “Louise Wimmer”.
La pellicola ha, sullo sfondo, la crisi economica dei nostri tempi, capace di costringere una donna borghese a vivere in un’auto per strada ma, al di là di questo, ciò che più preme al regista è delineare il ritratto, potente e controcorrente, di una cinquantenne che conserva, e coltiva, il desiderio di ribellarsi al conformismo e alle costrizioni dei rapporti sociali. Mennegun, grazie alla prova straordinaria dell’attrice Corinne Masiero, riesce pienamente nel suo intento e porta sullo schermo un figura femminile ruvida e, al tempo stesso, tenera, difficile da dimenticare. Attraverso il personaggio di Louise, i suoi silenzi giudicanti e le sue occhiate severe, viene gettata in faccia allo spettatore “l’ordinaria violenza della società dei vincenti d’oggi” che considera insignificanti le persone che non puntano sull’apparenza o sulle finte buone maniere.
Mennegun, fedele all’assunto iniziale di concentrarsi su un solo personaggio per amore della verità, mostra, fra tagli di montaggio e con dialoghi radi, brandelli di vita di una donna che, simile ad un animale ferito, non smette, però, di lottare e non accetta compromessi. Tanta costanza e coerenza viene, alla fine, premiata: Louise riesce, infatti, a farsi assegnare l’agognata casa popolare. Il suo sorriso, carico di speranza, mentre in macchina si avvia verso la nuova abitazione chiude in maniera semplice e perfetta un’opera prima preziosa, caparbia nelle sue scelte, rara. Proprio come Louise.
Mariella Cruciani
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Il benessere è una bolla destinata a scoppiare in qualsiasi momento. Lo è tanto più ai giorni nostri, segnati da una crisi economica mondiale che dopo aver travolto le classi sociali più deboli ha cominciato a lambire quella borghesia che sembrava solida e inattaccabile. Anche Louise Wimmer ha per anni vissuto un’esistenza placidamente borghese: una casa ben arredata, l’affetto del marito e della figlia, il piacere di possedere oggetti inutili eppure ugualmente ritenuti necessari. Poi, dall’oggi al domani, il baratro. Quando nella prima inquadratura la sua immagine invade lo schermo, tutto si è già compiuto. Il presente è fatto di giornate tutte uguali a lavorare come cameriera in un hotel e di notti al freddo con il solo riparo di una vecchia auto. Il passato è cancellato per sempre, intuibile però dagli oggetti simbolo di benessere che di tanto in tanto la donna porta al banco dei pegni: un servizio di posate d’argento, un foulard firmato, un set di pentole nuovo di zecca. Quel superfluo da cui stenta a separarsi e che per questo custodisce gelosamente in un garage in affitto. Ma se l’esistenza borghese si è disgregata, intatto è il senso della superiorità di classe che Louise ha trasformato in rabbia cieca contro tutto e tutti. Una rabbia coltivata con disperata caparbietà quasi a voler prendere le distanze da quanti le tendono una mano. Perché Louise, nonostante la durezza del carattere e una naturale antipatia, trova lungo il suo cammino persone disponibili ad aiutarla. Se infatti l’ex marito l’ha abbandonata, un altro uomo è ora al suo fianco. Un amante disponibile e affettuoso che pure la donna tiene a distanza relegando i loro rapporti ai meri incontri di sesso. Né diversamente si comporta con la figlia. Louise vuole farcela da sola, a rischio di sembrare dura, antipatica, testarda. Non è che una maschera chiaramente, per quanto non scalfibile. Eppure è proprio la scelta di presentare una protagonista tanto incomprensibilmente rigida da risultare irritante, l’arma vincente di un film che mira a rappresentare una tragedia dei nostri giorni senza ricattare lo spettatore attraverso un personaggio commovente. Louise non fa nulla per farsi amare, ma lo stesso a toccare nel profondo è l’idea che la sua caduta potrebbe essere la nostra. Così come la risalita, che la donna persegue con forza esemplare contando solo su se stessa. La chiave scelta da Mennegun è dunque quella di un’adesione viscerale al reale dalla quale è bandita ogni edulcorazione e che anzi privilegia il pedinamento senza sosta della protagonista alle prese con i problemi quotidiani e con la fatica di vivere. Un film coraggioso, Louise Wimmer, in grado di segnalare un autore che già all’esordio ha le idee chiare sul cammino da percorrere per inserirsi nel panorama del cinema d’autore.
(Angela Prudenzi)
Cyril Mennegun, sceneggiatore e regista, ha debuttato nel 2005 con il cortometraggio Tahar l’étudiant. Nel 2009 ha realizzato il corto 20 ans, le mond et nous. Louise Wimmer è il suo debutto nel lungometraggio di finzione.
di Redazione