La terre outragée (La terra oltraggiata) – 26a Settimana Internazionale della Critica

A Pripyat, una cittadina di cinquantamila abitanti immersa nel verde dell’Ucraina, è arrivata la primavera. È il 25 aprile del 1986, il piccolo Valery pianta un melo con l’aiuto del padre Alexei, uno scienziato. Anya e Piotr festeggiano il matrimonio con amici e parenti. Un’esplosione nella vicina centrale nucleare di Chernobyl seguito da violenti acquazzoni scuote la comunità che, ignara dei pericoli, viene sfollata solo quattro giorni dopo. Piotr partecipa alle operazioni dei vigili del fuoco. Dieci anni dopo, in uno scenario apocalittico, Anya ritorna in quei luoghi deserti come accompagnatrice di visite guidate. Piotr non ha mai fatto più ritorno a casa. Alexei è disperso. Valery, ormai ragazzo, è in cerca di un passato che gli è stato sottratto. Per tutti i sopravvissuti nulla sarà più come prima.

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La recensione di Mariella Cruciani

La terre outragée della regista franco-israeliana Michale Boganin racconta, a 25 anni di distanza, il tragico incidente nucleare di Cernobil che provocò la morte e la contaminazione di migliaia di persone. “Volevo che il mio film non fosse né un atto di accusa né una ricostruzione storica ma piuttosto un dramma ispirato alle esperienze umane di alcune delle persone coinvolte” – ha precisato l’autrice. Oltre ai residenti di Prypat, città vicino a Cernobil che fu abbandonata dopo il disastro, i personaggi principali della pellicola sono i luoghi: creano un’atmosfera armoniosa e quasi bucolica nella prima parte, coincidono con il vuoto e la desolazione, nella seconda. Al centro della storia è Anija (Olga Kurylenco), una giovane donna la cui esistenza è sconvolta dai fatti del 25 aprile 1986, giorno delle sue nozze e del fatale incidente. Dieci anni dopo, Anija è sola (il marito è morto per domare l’incendio) e lavora come guida nella “città proibita”, tornando una volta al mese nell’area contaminata. Potrebbe cambiare vita, smettere di sentirsi la vedova di Petr (Nikita Emshanov)  e seguire a Parigi l’uomo che la ama ma decide di non farlo (“Non posso partire. Prypat è casa mia”). Riguardo a questo, Michale Boganin ha detto: “Anche io sono nata in un posto e, poi, con la mia famiglia ci siamo dovuti spostare. Questo discorso non tocca solo Cernobil! I personaggi del mio film sono collegati da un destino comune perché vengono da un unico posto.”. Nella scena finale, Anija incontra, significativamente, Valerij (Illya Iosivof), altra vittima della catastrofe, disperatamente alla ricerca dell’infanzia perduta dopo la sparizione, dieci anni prima, del padre Alexei (Andrzei Chyra), scienziato che lavorava nella centrale. I due si scambiano uno sguardo intenso e, inconsapevolmente, si riconoscono: hanno in comune la nostalgia per il passato e l’amore, invincibile, per la propria terra. Un’opera prima gelida e raffinata, con atmosfere interiori che evocano Beckett e i suoi “Giorni felici”.

Mariella Cruciani

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L’impianto documentaristico è soltanto una falsariga adottata da Michale Boganim per raccontare la prima grande tragedia nucleare avvenuta nella centrale di Chernobyl venticinque anni fa, che causò la morte di oltre quattromila persone. Fra silenzi di regime e oblii collettivi, le ferite di quella catastrofe riemergono in tutta la loro drammaticità umana e ambientale, esistenziale e politica. Un affresco tragicamente attuale – ancor di più dopo lo scoppio della centrale giapponese di Fukushima – quello che la giovane regista franco-israeliana ha realizzato nella sua prima opera di fiction ricorrendo a soluzioni narrative che le consentono di ripercorrere quanto accade prima e dopo la contaminazione. La cittadina di Pripyat con i suoi paesaggi, da un lato, e Anya – interpretata dall’ex modella ucraina Olga Kurylenko, già Bondgirl in Quantum of Solace (2008) – dall’altro, sono i perni intorno ai quali ruota l’intera pellicola. Il salto temporale è di dieci anni: dalla vita tranquilla condotta fino al disastro dell’aprile del 1986 si passa al 1996. Le piogge acide sono terminate, ma lo scenario resta inquietante come la condizione di Anya che il giorno stesso del matrimonio ha perso il marito morto nel tentativo di spegnere l’incendio. Potrebbe cambiare vita, abbandonare la terra d’origine, seguire a Parigi l’uomo francese che la ama, ma la malattia che la mina le toglie ogni prospettiva futura. È nel quotidiano che la giovane e affascinante donna deve trovare la forza per andare avanti, giorno dopo giorno, nonostante i segni angoscianti che il corpo evidenzia. Nel silenzio innaturale di Pripyat divenuta una città fantasma, una sorta di Pompei del XX secolo con le abitazioni abbandonate e gli arredi in degrado, si muove furtivo anche il giovane Valery alla ricerca di qualcosa che possa aiutarlo a recuperare il proprio mondo distrutto, quello dell’infanzia perduta con la sparizione del padre. Il continuo passaggio tra questi due mondi restituisce un affresco tragico e disperante, un macigno sulla coscienza di ognuno.

(Goffredo Di Pascale)

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Michale Boganim studia antropologia alla Sorbona di Parigi e cinema con Jean Rouch, poi filosofia alla Hebrew Jerusalem University. In Israele studia anche fotografia. Si trasferisce a Londra per completare gli studi di cinema alla National Film and Television School. Ha realizzato alcuni documentari tra cui Odessa… Odessa! nel 2005. La terre outragée è il suo esordio di finzione.


di Redazione
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