Good Morning Aman
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Aman, ventenne somalo cresciuto a Roma, lavora presso un rivenditore di auto usate. La notte, poiché soffre di insonnia, cammina senza meta per le strade dell’Esquilino, tra la stazione Termini e piazza Vittorio. Una sera, introdottosi di nascosto sul terrazzo condominiale di un palazzo, fa la conoscenza di Teodoro, un ex pugile quarantenne dal passato oscuro. Tra i due nasce un’amicizia che via via si trasforma in un legame dai contorni fortemente ambigui. Teodoro si serve del ragazzo, ma a sua volta Aman intravede nel rapporto con l’uomo la possibilità di un riscatto sociale.
Una Roma multietnica fa da sfondo a una storia che scava nelle vite di un giovane somalo, che sogna di vendere auto mentre è relegato alle pulizie della concessionaria, e di un ex pugile segnato dal dolore più che dai pugni presi sul ring. Il loro incontro appare inevitabile. E’ l’incontro di due anime in pena, una tesa a dare un senso alla propria esistenza, l’altra a chiudere i conti con il passato per poter riprendere a vivere. Entrambi dunque viaggiano nella stessa direzione, in cerca di un evento dirompente in grado di scuotere un presente ripetitivo e senza sbocchi. Ma la loro amicizia non è priva di sofferenza, si dipana infatti attraverso una serie di scontri verbali e fisici che rendono impossibile distinguere la personalità dominante da quella dominata. Intorno a loro figure di un universo non meno dolente: la famiglia di Aman, la ragazza vittima del fidanzato violento, la ex moglie di Teodoro, gli amici della palestra pugilistica. Roma è definitivamente una città aperta dove tutti sono stranieri accomunati dalla speranza di un futuro migliore. Lo sguardo di Noce è lucido e impietoso eppure al contempo partecipe e avvolgente, sorretto da uno stile sorprendentemente maturo al punto da permettersi di citare apertamente Pasolini senza rischiare la maniera. Una nota di merito, inoltre, per Valerio Mastandrea, del film anche lungimirante produttore, alle prese con uno dei ruoli più intensi della sua carriera.
Claudio Noce, nato a Roma nel 1975, esordisce giovanissimo come assistente alla regia per cinema, pubblicità e video clip. Nel 2003 dirige il cortometraggio Gas con protagonista Elio Germano. Il suo lavoro successivo Aria conquista Nastro d’Argento e David di Donatello come miglior cortometraggio dell’anno. Con il documentario Aman e gli altri (2006) ha partecipato al Festival di Torino e con il cortometraggio Adil e Yusuf a Venezia 64. Good Morning Aman è la sua opera prima.
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RECENSIONE
I protagonisti di Good Morning Aman, film d’esordio di Claudio Noce, sono, indirettamente, presentati all’inizio dalla voce di Aman che, a proposito di incidenti stradali, commenta che “bisogna saper scegliere e domare l’istinto”, per poi concludere che “il problema non è realizzare i desideri, ma averceli.”. La prima frase descrive perfettamente il problema dello stesso Aman, ventenne somalo cresciuto a Roma e dal carattere impulsivo, mentre la seconda fotografa la situazione interiore di Teodoro, ex-pugile quarantenne dal passato oscuro. I due, vittime di un presente ripetitivo e senza sbocchi, sono anime in pena, destinate ad incontrarsi. Aman (Said Sabrie) sopravvive inventandosi una vita “altra” e raccontando bugie persino all’amico Said mentre Teodoro (Valerio Mastandrea) si è chiuso in casa, da anni, ad espiare una colpa misteriosa. Anche le altre figure che popolano questo universo notturno e dolente non sono da meno: Sara (Anita Caprioli) tenta invano di sfuggire ad un fidanzato violento, l’ex moglie di Teodoro non riesce a dimenticare e a perdonare. Straniero, a Roma, non è solo Aman, ma tutti i personaggi sullo schermo: l’estraneità è, qui, una condizione esistenziale che non risparmia nessuno. E’ per questo che, nonostante l’evidente differenza, il ragazzo somalo può essere tranquillamente scambiato, da una famiglia cinese, per il figlio di Teodoro. In effetti, tra i due, si instaura un rapporto ambiguo, e ambivalente, simile, per certi versi, alla relazione padre-figlio.
Good Morning Aman è un anomalo racconto di formazione: mostra il cammino verso la vita di Aman e, contemporaneamente, il cammino verso la morte di Teodoro. Nei confronti dei suoi personaggi, Noce adotta un atteggiamento, e uno stile, duplice: da una parte, sceglie di stare loro addosso, mettendosi al servizio degli attori, dall’altra, privilegia movimenti di macchina che, a tratti, rischiano di trasformarsi in esercizi di stile. Complessivamente, però, il film funziona e anche il linguaggio cinematografico, talora eccessivo, risulta, comunque, ispirato e finalizzato alla ricerca della realtà.
Mariella Cruciani
INCONTRO CON CLAUDIO NOCE
di Mariella Cruciani
Come è nata l’idea del film?
Il film nasce da un percorso lungo tre anni: avevo già fatto un documentario su immigrazione e lavoro. In una lavanderia, mi è apparso Aman, quello vero, che mi ha ispirato la storia. L’idea era raccontare una storia di immigrazione attraverso una storia privata, un’amicizia. Quando abbiamo ragionato su Aman, abbiamo voluto creare un ragazzo afro-italiano diverso dai soliti, anche con una certa dose di sfrontatezza.
Come avete lavorato, invece, su Teodoro, il personaggio di Mastrandrea?
Il personaggio di Valerio è stato riscritto: all’inizio, era più grande, poi ci siamo resi conti che, in realtà, era un personaggio senza età. Teodoro è un anti-eroe, con il suo cinismo e con il suo azzardare battute quando non ce lo aspettiamo.
Protagonista del film è anche la città di Roma. O no?
Teodoro incarna una romanità sbiadita, cose che fanno parte di una Roma popolare, di destra. I luoghi che Teodoro ha frequentato, nella sua vita, non hanno certo mai accettato un ragazzo nero!
La sequenza del pranzo con i pugili è quasi da documentario. Perché questa scelta?
Quella tavolata è figlia di esperienze mie personali: io stesso sono entrato in contatto con quella Roma lì. Quei personaggi raccontano la vita precedente di Teodoro. E’ come se Teodoro dicesse ad Aman: “Io sono stato questo e voglio morire perché sono stato questo!”.
Nel finale, Aman sembra deciso a partire per Londra…
La conclusione è che Aman, qui in Italia, non ha speranza anche se, secondo me, lui non partirà. La novità è che, per la prima volta, lui dice all’amico la verità: è cresciuto, è diventato uomo. Ha capito che si può scegliere.
Il film ha una bella fotografia. Come avete lavorato su questo?
Il direttore della fotografia ha subito sposato la mia idea: a volte, c’è l’utilizzo della macchina a mano, altre, invece, scelgo di creare momenti più sospesi, quasi onirici. Abbiamo girato in Super 35, lavorando in maniera tradizionale, senza passare al digitale.
Mariella Cruciani
di Redazione